Al XVIII Congresso della Cgil svoltosi a Bari dal 22 al 25 gennaio 2019, il 24 gennaio, davanti alla platea congressuale, Igor Magni Segretario Generale della Camera del Lavoro Metropolitana di Genova ha ricordato la figura di Guido Rossa a 40anni dal suo barbaro assassinio. Quella che segue è una bozza del suo discorso.
Ricordare la figura di Guido Rossa non è e non deve essere una tradizione, non è e non può essere un momento di semplice ricordo ma deve essere la trasmissione della memoria di giorni e fatti che hanno segnato la storia del nostro paese e la vita di chi quel periodo storico, non lontano, lo ha vissuto e come nel caso di Rossa vissuto da protagonista.
I fatti di quei giorni vanno raccontati senza retorica attraverso l’esempio di Guido narrando chi era e cosa ha fatto e ricordando così l’uomo, il militante politico e il sindacalista che è stato.
La trasmissione della memoria serve per capire da dove veniamo, per cercare di evitare che alcune pagine drammatiche del nostro passato possano ripetersi e anche per capire come importanti e fondamentali pagine della nostra storia siano state scritte da persone normali, donne e uomini che non hanno esitato a fare la cosa giusta quando hanno dovuto scegliere, magari mettendo a repentaglio la propria vita come nel Dicembre del 1900 primo sciopero generale in Italia, quando i lavoratori genovesi scesero in piazza contro lo scioglimento della camera del lavoro evitandone la chiusura e portando alle dimissioni del Governo Saracco. Oppure gli scioperi del marzo 1943 di opposizione al fascismo. La lotta di resistenza partigiana che portò alla liberazione e ancora il 30 giugno del 60 e lo sciopero proclamato dalla camera del lavoro di Genova contro l’effettuazione del congresso neofascista che si sarebbe dovuto svolgere nella città, innescando le grandi manifestazioni di popolo che portarono alla caduta del governo Tambroni.
Tante fasi del nostro paese, tante persone che hanno lottato per la nostra democrazia, per i valori della giustizia, della libertà, dell’uguaglianza e della dignità del lavoro. Guido Rossa è stato continuatore di questa storia, con la sua normalità di uomo, con la sua passione politica. Guido Rossa era un operaio dell’ ITALSIDER, un sindacalista della CGIL eletto nel consiglio di fabbrica per la FIOM ed era anche un iscritto del Partito Comunista Italiano, insomma un compagno. Lui nato in Veneto inizia a lavorare a 14 anni in una fabbrica di cuscinetti a sfera, poi la FIAT a Torino e nel 1961 il suo arrivo a Genova.
Vive il suo essere operaio in modo attivo, con la passione di chi vuole difendere i propri diritti e quelli degli altri, lui che era un bambino durante la guerra e che sa cosa vuol dire la dittatura, l’annullamento dei propri diritti, la violenza, la paura ma anche la solidarietà, la voglia di giustizia e di riscatto.
Siamo negli anni 70, sono anni di grandi lotte, l’Italia diventa un paese moderno, sono anni di conquiste, la promulgazione dello statuto dei lavoratori, la legge sul divorzio ma anche di grandi tensioni, di scontri, sono anni di grandi fermenti segnati da tragiche stragi mai chiarite, dal terrorismo nero e da quello rosso, insomma sono gli anni di piombo.
Sono anni che videro un attacco a tutto il corpo delle istituzioni e alla democrazia, che faceva leva su contraddizioni e ingiustizie dentro una società che però attraverso le lotte democratiche stava cambiando o cercando di farlo.
Per le Brigate Rosse la sola strada possibile da percorrere era invece lo smantellamento dello stato e per farlo colpivano tutti quelli che ne rappresentavano i poteri: Giudici, politici, forze dell’ordine, dirigenti aziendali e giornalisti. Sino ad arrivare ad uccidere un operaio, un sindacalista perché aveva deciso di fare fino in fondo il proprio dovere. Aveva deciso di non girare la testa ne di abbassarla. Aveva deciso di denunciare un terrorista che si nascondeva tra i suoi compagni di lavoro un brigatista che con altri metteva in discussione le conquiste fatte e i principi democratici per cui si batteva.
Guido Rossa prese una decisione non facile, sapeva a cosa andava incontro, sapeva cosa rischiava le BR Genovesi erano tra le più spietate ed organizzate del paese, ma pesò di più in lui il suo dovere morale, il suo senso di responsabilità e queste lo fecero andare fino in fondo rompendo i silenzi, i troppi tentennamenti e le tante paure di quegli anni.
La crisi economica in Italia della seconda metà degli anni 70 complicò una situazione già non facile e la peculiarità del terrorismo genovese fu quello di tentare di far diventare la città una sorta di incubatore del terrorismo. Certamente si erano prefissati l’obiettivo di penetrare nel mondo del lavoro sapendo che una parte dei lavoratori non prese subito una posizione netta di condanna di quanto avveniva in quegli anni, sminuendo il fenomeno, a volte leggendolo con qualche simpatia e molti pensavano maggiormente alla propria condizione lavorativa che vedevano in peggioramento a causa della crisi economica.
Ma dopo i primi agguati e gli omicidi la mobilitazione crebbe dopo ogni attentato.
La radicata presenza dentro le fabbriche del sindacato e del pci furono un saldo riferimento che, da una parte, veniva individuato come motivo per cercare di far breccia tra i lavoratori cercando di vincere la resistenza democratica e operaia, mentre, dall’altra, questo assetto democratico resse all’urto di quanto accadeva trovando al proprio fianco anche gli operai inizialmente meno convinti e consapevoli facendo così tramontare le ultime ambiguità e indecisioni.
Per la CGIL il fenomeno del terrorismo non era generato da motivi economici o sociali ma politiche, profondamente antidemocratiche e per questo nulla avevano da spartire con “nessuna tradizione politica riferibile al movimento operaio”.
Il 27 ottobre del 1978 Guido insieme ad un gruppo di compagni aveva sorpreso l’operaio Francesco Berardi a diffondere volantini delle br nel costante tentativo di infiltrare le masse operaie. Si arrivò subito alla querela alla magistratura e non potendo far valere giuridicamente una testimonianza collettiva, Guido Rossa si assunse la responsabilità individuale della denuncia.
Un atto di coraggio, non facile, ma Guido volle far seguire alle parole i fatti, con un gesto che altri non si sentirono di compiere.
Per lui seguirono giorni tormentati: messaggi, telefonate anonime, minacce. Il pericolo forse fu anche sottovalutato, Guido rifiutò la vigilanza stretta dei compagni del consiglio di fabbrica e i suoi assassini, il 24 gennaio del 1979, ebbero vita facile nel porre fine alla sua vita, un gesto di spietata e spregevole disumanità che coagulò ancora di più il fronte anti-terrorista dando inizio alla fine delle Brigate Rosse.
E non fu la reazione dura e determinata solo dei colleghi dell’Italsider, dei compagni del sindacato ma di tutta l’opinione pubblica, l’intero paese.
Non era più tempo di equilibrismi, Genova si fermò a partire dal proprio porto con i compagni si mobilitò la città e mostrò con ancora più decisione da che parte stava. Quell’operaio ucciso, Guido, l’uomo strappato alla sua famiglia, alla moglie, alla figlia; Guido il sindacalista della Fiom, il Compagno che amava la montagna aveva unito a sue spese non solo la città ma tutto il paese.
Quando venne assassinato io avevo 8 anni, ricordo ancora il clima dell’epoca seppur nel ricordo di bambino. Abitavo a Cornigliano tra i fumi di quell’acciaieria che dava lavoro a migliaia di persone e anche a mio padre, operaio del reparto ossigeno. Ricordo la paura il clima di terrore, la preoccupazione sul volto dei miei genitori, la radio sempre accesa in cucina per sentire le ultime notizie, mio nonno pensionato ansaldino con l’unità in tasca, quasi sgomento. Ricordo la rabbia per quello che era successo e anche l’orgoglio di quei momenti, “Guido era uno di noi, capisci uno di noi” diceva mio padre, anche se non lo conosceva ma era uno di loro, di quell’orgoglioso popolo operaio. Ricordo mia madre all’uscita della scuola, quella scuola di quartiere esempio di grande, per me allora inconsapevole, integrazione. Bambini di origini diverse di ogni parte d’Italia, tutti figli dell’immigrazione e tutti figli della Fabbrica, ma soprattutto e semplicemente bambini…
E con mia madre andammo, insieme a tanti altri, alla camera ardente di Rossa, “perché bisogna salutarlo” mi disse mia madre,” bisogna ringraziarlo”. Ripensando a quei momenti ricordo ancora il picchetto operaio e la grande dignità di quei momenti, ricordo come tutto per me fosse strano eravamo al cral dell’Italsider per me li era il ritiro del regalo di natale, i film e le spume con mio nonno non il luogo di dolore che ricordo oggi.
Credo che per molti quel momento e quello del funerale siano stati non solo il doveroso e sentito atto di riconoscenza e di rispetto per Rossa ma anche un momento di unità e consapevolezza tale da aprire uno squarcio sul velo della paura che permeava quegli anni e che produsse la reazione civile che conosciamo.
Oggi a 40 anni di distanza termini come: Senso di responsabilità, solidarietà, rispetto delle istituzioni soprattutto nell’ attuale quadro politico sembrano lontani e desueti.
Oggi 40 anni dopo il sacrificio di Guido, il quadro è desolante in Italia e nel mondo. Vince il populismo, imperano le divisioni e gli interessi particolari, crescono o nascono muri fisici e non.
La crisi economica di questo ultimo decennio, come negli anni che ho raccontato, ha spinto lavoratrici e lavoratori sempre più precari, atipici, insicuri a chiudersi in se stessi e a lasciare che alcune cose succedano senza occuparsene troppo e pensando sempre di più a se stessi e alla propria condizione. E così sono aumentate le divisioni, spesso volute, tra nord e sud, tra uomini e donne, giovani e anziani, italiani e immigrati che lasciati al loro destino muoiono a centinaia in mare e nei loro paesi, mentre assistiamo a politici che si fanno vanto dei porti chiusi e vendono come valore l’egoismo utilizzando una violenza verbale che nulla ha a che vedere con i bisogni di lavoratori, pensionati e soprattutto dei tanti giovani senza futuro.
Non è certo questa la lezione di Guido Rossa, non è certo questo il messaggio del suo sacrificio.
Guido in una lettera ad un amico, appassionato scalatore come lui, scrisse:
Ha ancora un senso raggiungere vette pulite e scintillanti dove, solo per un attimo, possiamo dimenticare di essere gli abitanti di questo mondo dove si muore di fame, dove ci sono le guerre e le ingiustizie? Ma probabilmente queste prediche le rivolgo a me stesso, perché anche se fin dall’età della ragione l’amore per la giustizia sociale e per i diritti dell’uomo sono stati in me il motivo dominante, sinora ho speso pochissimo delle mie forze per attuare qualcosa di buono in questo senso (…). Da ormai parecchi anni mi ritrovo sempre più spesso a predicare agli amici l’assoluta necessità di trovare un valido interesse nell’esistenza, qualcosa che si contrapponga a quello, quasi inutile, dell’andar sui sassi
In queste poche righe c’è tutto Guido Rossa e ci mostra senza esitazione il suo bisogno di allora che è il mio, il nostro di oggi. Come può una società che si dice civile non pensare agli altri, non cercare fino in fondo il bene, come possiamo anteporre interessi personali a quelli più preziosi della comunità, ragionando al singolare quando soli siamo nulla, come possiamo lasciare che le cose accadano senza indignarci per i diritti persi e per le consapevoli menzogne che vengono raccontate al paese come verità, come possiamo essere timidi di fronte alle ingiustizie e dimenticare che siamo un popolo solo se stiamo in questo mondo senza dimenticare gli ultimi come direbbe un altro grande genovese che non c’è più, Don Andrea Gallo.
Il nostro dovere è di non lasciare che quella di Guido Rossa sia solo una storia da raccontare ma un modello da seguire. Lui per difendere quello in cui credeva ha sacrificato la vita a noi si chiede molto meno. lavoriamo per unire i lavoratori dove li vogliono dividere, lavoriamo insieme per i diritti di donne e uomini, per il lavoro e la dignità del lavoro, lavoriamo per l’accoglienza, l’integrazione, per la difesa della democrazia e la completa attuazione della nostra costituzione lavoriamo per gli ultimi… solo così si può ricordare davvero il sacrificio di Guido Rossa solo così si può essere CGIL.
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