Nel 1960, alla vigilia dello storico sorpasso sulla Dc sancito dalle elezioni politiche del 1963, nelle fabbriche genovesi della cantieristica e dell’elettromeccanica pubblica un operaio su cinque è iscritto al Pci.
Gli stabilimenti Ansaldo sono ai primi posti della classifica, con un rapporto tra iscritti e occupati prossimo al 30%. Quattromila dei 47mila iscritti genovesi sono concentrati tra il cantiere navale, il Meccanico, la fonderia, il Delta, la cokeria e il vecchio Elettrotecnico: all’Ansaldo San Giorgio, agli albori dei sessanta, su 3468 occupati 929 militano tra le file del partito comunista: quindici anni dopo, seguendo la curva della deindustrializzazione cittadina, la cifra risulterà dimezzata ma garantirà pur sempre all’Asgen una forte presenza del partito in una delle fabbriche all’avanguardia del distretto industriale genovese.
Quindici anni dopo la Liberazione, il Pci è ancora un partito la cui dirigenza riflette la composizione sociale di riferimento: dai quadri interni alla fabbrica, sia del sindacato sia dei partiti, vengono cooptati gli elementi che scaleranno le posizioni sino a divenire funzionari o dirigenti, provinciali o nazionali. In questo percorso, che premia militanza attiva e fedeltà alla linea, la sezione di fabbrica costituisce un trampolino privilegiato nella città dalla profonda tradizione operaia, in cui la Cgil conta novantamila iscritti e a iscriversi al Pci sono operai per il 61%, casalinghe per il 21%, ritirati dal lavoro per il 9%.
Nel ponente industriale, uscendo dai cancelli, il quartiere operaio riflette l’omogeneità politica della fabbrica: a Sestri Ponente gli operai del cantiere navale e della San Giorgio praticano una micro-città in cui nel 1963 è iscritto al partito l’8% degli abitanti. A Cornigliano, i comunisti della Siac, dell’Italsider e della stessa Ansaldo si disperdono tra Voltri e Prà (9,4% dei residenti iscritti), la Valpolcevera (9,1%), Sampierdarena (5,7%) oppure abitano nel centro siderurgico, contribuendo a quella percentuale dell’8,7% di fedeli al partito che risiedono tra Campi e Cornigliano.
L’articolazione sul territorio ha numeri impressionanti. Una manciata di anni dopo la fine della guerra a Genova si contano, secondo i dati ufficiali della federazione, 149 sezioni territoriali, 55 comitati di fabbrica, 850 cellule aziendali, 654 territoriali, 309 femminili e 145 giovanili (dati 1949). Se a norma di statuto la cellula costituisce l’organizzazione di base del partito, la sezione (territoriale o di fabbrica) è l’elemento sul quale si misura il rapporto con la base, si attuano i processi deliberativi e partecipativi, si organizza il tempo libero, l’azione culturale e l’attività dei militanti, si studiano i processi organizzativi e le condizioni di lavoro: a fine anni cinquanta se ne contano ormai 197, di cui alcune superano i mille iscritti, e il partito è presente in 258 aziende della provincia con sezioni o cellule di fabbrica.
Nella città Medaglia d’Oro al Valor Militare, molte delle sezioni portano il nome di date o caduti nella lotta di Liberazione: la Antolini dello stabilimento Meccanico e la Buranello-Jursé a Sampierdarena, la Jori a Rivarolo. Altre sono dedicate ai perseguitati dal fascismo come la Tito Nischio alla Foce, la Di Vittorio, la Gramsci, la Pertini, la Tonini: biografie di antifascisti storici si miscelano con quelle delle giovani vittime delle unità urbane partigiane.
La Palmiro Togliatti costituita all’Ansaldo Elettrotecnico (poi Ansaldo San Giorgio, quindi Asgen) si distingue già dalla scelta dedicatoria, presentando i tratti dell’ortodossia e del rigore propri alla natura del partito di massa togliattiano. Caratteri statutari che vengono puntualmente declinati nelle diverse fasi organizzative, nei rapporti con i vertici e con la base, nelle espressioni culturali quanto nella pedagogia politica, nell’autorappresentazione di classe e nelle forme comunicative.
La dedica della sezione al Migliore, il Segretario del partito nato a Genova nel 1893 e morto a Yalta nel 1964, richiama a sé gli elementi del dna della generazione cresciuta all’ombra della prudenza, dell’idea della sacralità (e dogmaticità, naturalmente) del partito e della sua linea, da difendere sempre e comunque dalla propaganda e dagli attacchi dei numerosi e potenti nemici. Non potrebbe essere diversamente, nella Fabbrica resistente di Campi i cui quadri escono dalla lotta di Liberazione e dal non meno plumbeo clima politico del “maccartismo all’italiana” instaurato all’interno delle logiche della guerra fredda all’indomani del 1948.
Ancora nel 1971, poco prima dell’innesto di una nuova generazione di quadri, quella uscita dalle giornate antifasciste del 30 giugno 1960 e soprattutto dai movimenti del ’68 e dall’autunno caldo, il comitato direttivo di sezione è composto in massima parte da operai che avevano preso la tessera tra il 1943, nel partito clandestino, e il 1945, all’indomani della Liberazione. Molti sono stati partigiani, chi nelle Sap chi in montagna, hanno vissuto le cariche della Celere, le intimidazioni, l’isolamento e la marginalizzazione degli anni cinquanta, ha fatto parte per lunghi anni della commissione interna.
Il più anziano della ventina di membri è del 1913, il più giovane è nato nel 1937 ma quelli che avevano venti anni il 25 aprile ’45 sono la maggioranza. Nel 1976, l’età media della dirigenza è tra i 37 e i 38 anni, inferiore a quella degli iscritti (42 per gli uomini, 45 per le donne) ma chi dà la linea ne ha quasi venti di più. Sono i “grandi vecchi”, verso i quali provare reverenza è normale, sia per l’indubbia capacità lavorativa sia per trascorsi biografici da far tremar le vene e i polsi.
C’è, tra i dirigenti della Togliatti, chi si è iscritto al partito appena tornato dal campo di concentramento, come Andrea Bozzo. Classe 1922, avviamento al lavoro in porto una volta conseguita la licenza elementare, poi militare in marina, rastrellato dopo l’8 settembre e internato in Germania: alla Liberazione diventa responsabile di cellula e della sezione sindacale all’Elettrotecnico. Nel 1952 il partito lo spedisce a Tura (Messina) per organizzare, proficuamente, la campagna elettorale. Membro della commissione interna, poi responsabile del consiglio di fabbrica, infine per dieci anni della scuola sindacale Cgil ai Giovi.
Oppure ne fa parte chi, come Giovanni Olivieri, nato a Campoligure nel 1917 ed entrato apprendista in fabbrica a 16 anni, ne trascorre sei in marina durante la guerra e appena sbarcato si arruola nelle Sap di Fegino-Rivarolo, diventandone comandante di squadra: tesserato della prim’ora, membro della commissione interna all’Elettrotecnico, delegato sindacale, poi segretario di sezione.
Elvio Cruciani, di Sampierdarena (1923-2022) entra nel 1938 nello stabilimento di Campi dell’Ansaldo, dove rimane per 41 anni: come unico intermezzo la marina militare, tra il 1942 e il 1946, trovando il tempo di raccontare la sua esperienza in un diario conservato presso l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano. Per il sindacato e per il partito spende il resto dei suoi giorni: collettore sindacale, esperto di reparto, segretario della cellula di fabbrica, responsabile dell’amministrazione della Togliatti per tutti gli anni sessanta, quindi segretario di sezione.
Infine, Marion: Mario Torarolo, classe 1925 e padre portuale, che si forma alla celebre scuola apprendisti dell’Ansaldo a Calcinara per poi entrare, per 33 anni, all’Elettrotecnico. Il nome di battaglia se lo conquista nella brigata Sap Balilla e i gradi del partito nella sezione Togliatti di cui è a lungo segretario, dopo aver fatto parte della commissione interna, delegato di reparto e membro del consiglio di fabbrica, responsabile di zona Cgil.
È questa, la generazione che anima, dal dopoguerra sino ai tardi anni settanta, la sezione Togliatti dell’Asgen, passando anche attraverso gli organismi sindacali interni ed esterni, con incarichi nella lega, nella federazione di categoria o in Camera del Lavoro, nella federazione o in altre sezioni del partito. Scarsa la presenza femminile, in una fabbrica in cui anni dopo si formerà il primo coordinamento genovese delle donne della Federazione Lavoratori Metalmeccanici Flm.
Sono i rappresentanti di quell’«Operaio con la o maiuscola», ampiamente studiato da storici e sociologi e saldamente affermato nell’immaginario locale e non solo, il cui profilo «risulta in massima parte costruito proprio sull’identità sociale e professionale della classe operaia dell’Ansaldo degli anni cinquanta e sessanta, o almeno del suo segmento culturalmente e politicamente egemone».
Sono i volti, la linfa e l’essenza stessa di quel «partito operaio di massa, non più partito di quadri ma non ancora partito di popolo» che il sociologo e dirigente sindacale Paolo Arvati misura sul caso genovese, rimarcandone nel contempo i limiti insiti nello scarso ricambio generazionale e nell’arroccamento a difesa delle cittadelle del porto e dei distretti industriali pubblici del ponente, capitale della siderurgia e della cantieristica dell’Iri.
Come si svolge la vita quotidiana in sezione? La fotografa così, in Botteghe Oscure, addio, la giornalista Miriam Mafai (1926-2012), compagna di Gian Carlo Pajetta ed esponente della generazione politica che si è fatta le ossa tra la Resistenza e la discriminazione anticomunista del primo dopoguerra: «Militanti e attivisti erano inseriti in una rete a maglie strette: ogni iscritto aveva un compito, si trattasse di nuove adesioni da raccogliere, di copie dell’Unità da diffondere, di bollini da riscuotere. In tutte le sezioni era esposto un orario con gli impegni della settimana. Eccone un esempio: lunedì riunione delle cellule, martedì incontro dei direttivi di cellula, mercoledì riunione del direttivo di sezione, giovedì assemblea con dibattito sulla ‘situazione attuale’ con la presenza di un compagno della federazione, venerdì lettura collettiva di Rinascita o un corso di studio, sabato affissione dei manifesti e domenica diffusione della stampa di partito. Con poche varianti la settimana tipo dei buoni attivisti e militanti era così ordinata».
Se a tale agenda si sommano gli impegni sindacali, comuni ai compagni socialisti e ai colleghi cislini, oppure l’attivismo nella rete associativa del territorio, lo spazio per altri amori è veramente ridotto all’osso. Si confida, in famiglia, nella comune militanza oppure, nella maggioranza dei casi, in un’onesta capacità di comprensione e di empatia. Sintetizza bene tale comunanza di sacrificio Elvio Cruciani, tra i protagonisti di questa storia collettiva che ha saputo tramandarci grazie al minuto archivio di sezione conservato dalla Camera del Lavoro, in una testimonianza raccolta nel 1989 da Adele Maiello: «In genere sono tutte operaie, casalinghe che, anche loro, avevano superato i periodi gravi della guerra, della Resistenza e, di conseguenza, avevano recepito qualche cosa; di conseguenza, c’è una predisposizione ad assecondare il marito che era in fabbrica e che era soggetto a metodi ricattatori, vessatori, che allora si usavano in fabbrica. E la moglie capiva: non è che fosse un’attivista. Nel mio caso, per esempio, mia moglie non era un’attivista, ma si immedesimava in quello che riportavo e capiva le difficoltà che avevamo noi: in conseguenza si aveva un aiuto anche morale, perché si andava a rischio per l’attivista (sia di partito principalmente, sia sindacale) di avere delle crepe in famiglia per il tempo che si dedicava al partito».
Questa disponibilità quotidiana al sacrificio («per noi era normale fare attività di partito, trovarsi in difficoltà, dover essere sempre con l’animo teso perché domani non si sapeva come si entrava in fabbrica e come si usciva», prosegue Cruciani) è una delle componenti dell’identità del militante comunista, che per tradursi in militanza quotidiana, completa, deve essere rafforzata da altri vincoli.
Innanzitutto, l’informazione e la cultura. Si legge, nella sezione di fabbrica, si legge tantissimo, in prevalenza gli organi di informazione politica. Viene in aiuto, nuovamente, Mafai: «Tanto per cominciare legge l’Unità, ogni giorno. E partecipa spesso agli incontri di sezione dove il quotidiano viene letto e commentato collettivamente. Poi, mentre i suoi compagni di lavoro o i vicini di casa si distraggono sfogliando La Domenica del Corriere oppure qualche giornale sportivo o a fumetti, lui, ogni settimana, legge Vie Nuove che gli viene consegnato a casa da un compagno ‘diffusore’, il quale gli lascia anche per la moglie Noi Donne, per i figli più grandi Pattuglia e per i bambini Il pioniere. Queste pubblicazioni contribuiranno, per molti anni, a formare la cultura di base dei militanti comunisti, con l’aggiunta del Calendario del Popolo, un mensile a carattere enciclopedico che rivisita puntualmente i più grandi avvenimenti della storia italiana e internazionale, illustra le principali scoperte tecniche e scientifiche, ricorda le vite degli uomini celebri nella letteratura, nella politica, nell’arte».
Poi, ci sono i periodici e i documenti interni ed esterni del sindacato e del partito, gli elaborati dei consigli di fabbrica, gli studi e i rapporti da analizzare in vista delle conferenze di organizzazione o dei sinodi di categoria. All’Ansaldo San Giorgio gli operai comunisti ritengono che la ‘mazzetta’ non sia sufficiente e rifondano il giornalino di fabbrica.
Sia La voce dell’Elettrotecnico, in misura proporzionale al clima che si respira nei cinquanta in azienda, sia la sua prosecuzione come Coscienza di classe (saltando un decennio e aumentandone il tasso di politicizzazione) si pongono in realtà obiettivi strategici più ambiziosi rispetto al proposito di realizzare, nella piccola sede di via Frassinello nel quartiere operaio di Rivarolo «un foglio tutto per i comunisti dell’Asgen, che potesse meticolosamente giungere dove l’Unità oggettivamente non può arrivare: nella trattazione di una situazione del singolo reparto di lavoro o la spiegazione di un certo fatto politico sindacale aziendale».
Perché, a differenza di periodici di altri stabilimenti del gruppo (come il Meccanico di Sampierdarena) oppure dei numerosi fogli interni conservati nell’archivio della sezione, non stiamo sfogliando un giornale che tratta «dell’immensamente piccolo, del microcosmo a livello di reparto», rivolgendo invece prevalentemente l’accento sull’immensamente grande. Nella migliore tradizione del movimento operaio, lo sguardo degli iscritti, attraverso la stampa e l’attività culturale della sezione, si allarga allora alla scena internazionale, dalla cortina di ferro sino alla conquista dello spazio. «Nella sezione si scendeva per disegnare l’altra storia, quella uscita vittoriosa e non vincente dalla Resistenza. Era l’altra guerra, sorda e di tempi lunghi», scrive Rossana Rossanda.
E valgono per la sezione sul greto del Polcevera le stesse considerazioni della cofondatrice del Manifesto su quella che affaccia sul Lambro, dove «si sentiva, a giornata di lavoro chiusa, quel che aveva detto Truman, quel che succedeva a Berlino, lo confrontava con quel che aveva colto a sprazzi dalla radio, sapeva dov’erano Seul o Portella della Ginestra: l’ignorante non era disprezzato, ma neppure adulato, era la borghesia a volerci ignoranti, l’imperialismo, i padroni. Osservando quei visi in ascolto, pensavo che a ciascuno la sua propria vicenda cessava di apparire casuale e disperante, prendeva un suo senso in un quadro mondiale di avanzate o ripiegamenti. Seguiva il dibattito».
Se il congresso di sezione si apriva dunque, nel 1973, con il «plauso alla vittoria del Viet-Nam e alla lotta antimperialistica», proseguendo con la relazione del Segretario «sui fatti, i mutamenti e le lotte avvenute e sostenute nell’arco di 14 mesi in campo mondiale, nazionale ed aziendale», non ci si può stupire nel 1975 ad avere al primo punto dell’assise l’analisi della fase nuova del mondo. Se ne può sorridere, ma l’elemento liturgico, proprio a tanta cultura congressuale dell’epoca, è rilevatore della certezza della collocazione del microcosmo di fabbrica in un preciso contesto, della consapevolezza di contribuire con il proprio lavoro al processo collettivo di acculturazione, semina e propaganda dell’idea.
Il circolo culturale fondato dai comunisti dell’Asgen alla metà degli anni sessanta, oltre ad assolvere il compito statutario, al pari di ogni sezione, di «dirigere e coordinare le attività dei comunisti in ogni campo della vita politica di massa nei centri della vita produttiva, culturale e associativa» della sua giurisdizione, si prefigge anch’esso obiettivi avanzati, intercettando le punte più alte dell’impegno intellettuale e creativo cittadino.
Conferenze, dibattiti, mostre d’arte, proiezioni, audizioni. Poi gruppi di studio e lezioni di storia del movimento operaio (tenute da Gaetano Perillo fondatore del Centro ligure di Storia sociale) ma anche approfondimenti sulla storia di Genova (Giorgio Doria) sulle sue fortificazioni (Claudio Costantini) e sul Barocco (Ezia Gavazza), dotte relazioni sulla rivoluzione industriale in età moderna (Manlio Calegari) e sulle tecniche cinematografiche (Aristo Ciriuzzi). Guido Aristarco vi viene a spiegare La Battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, Dario Fo tiene una conferenza sul ‘Teatro odierno’, il maestro Luigi Nono presenta qui nel 1966, semiclandestinamente, La Fabbrica illuminata. Si guarda a quanto si sta facendo alla foce del torrente, all’Italsider di Eugenio e Lisetta Carmi.
Il progetto di formazione e informazione permanente, tanto puntuale, approfondito e articolato quanto esplicitamente di parte, non basta tuttavia a fungere da collante e ammortizzare i sacrifici richiesti dalla militanza professionale. «E questo collante fu una fiducia assoluta nella storia, nel progresso, nel socialismo. I militanti, gli attivisti e i dirigenti erano convinti della necessità obiettiva, scientifica del socialismo, della sua ineluttabilità come conseguenza delle ‘insanabili contraddizioni’ del modo di produzione capitalistico […]. L’appuntamento con la Storia era fissato, anche se nessuno poteva conoscerne l’ora precisa» (Mafai).
Non è una valutazione molto distante da quella di Eric Hobsbawm: il partito aveva un tale prestigio che riusciva a far fare cose che altri non avrebbero potuto chiedere, poteva esigere tutto dalle nostre vite. In cambio di una simile dedizione veniva offerta, anche ai compagni della Togliatti, la ‘certezza della vittoria’, fondata a sua volta sulla certezza di conoscere la direzione della Storia. Che non è cosa da poco. L’esistenza stessa dell’Unione Sovietica, il socialismo realizzato nei paesi satelliti, i progressi tecnologici e la corsa spaziale sono lì a dimostrarlo: le colonne del giornalismo di fabbrica rilanciano l’allarme per l’atomica Usa, osservano il lutto per la scomparsa di Stalin, tengono botta con l’Ungheria nel 1956, si emozionano per l’epopea dei cosmonauti russi, si addentrano cauti nell’ombrosa era Breznev, esprimono dubbi (ma non troppo) sul ‘68 cecoslovacco, sposano le cause di tutti i movimenti mondiali che guardano a est.
Nel 1971, anno in cui si inaugura la nuova sede realizzata grazie a una sottoscrizione al cospetto del vicesegretario generale del partito Enrico Berlinguer e riprendono le pubblicazioni del giornale come Coscienza di classe, la sezione accoglie nientemeno che la delegazione sindacale della Repubblica Democratica Tedesca, in visita allo stabilimento di Campi, a Cornigliano.
Gli incontri avvengono nel quadro del sistema di relazioni tra i sindacati e partiti italiani e quelli tedeschi dell’est, intensificato e consolidato nella seconda metà dei sessanta con scambi di conoscenze ed esperienze sui temi della trasformazione tecnologica, sul welfare, sul ruolo del sindacato. Dal punto di vista tedesco orientale, tali relazioni sono informate principalmente all’obiettivo del riconoscimento internazionale del paese, strategia che si infittisce a cavallo tra il 1969, con le grandiose manifestazioni per il ventennale della Ddr e il gennaio 1973, data del riconoscimento da parte italiana della nazione socialista.
Le immagini e la corrispondenza tra la sezione comunista di fabbrica e i compagni tedeschi tradiscono la fascinazione, da parte della sezione genovese, della Repubblica democratica quale “vetrina del socialismo”, testimoniano della solidarietà e dell’orgoglio di appartenenza alla comunità internazionale di lavoratori al di là delle strategie diplomatiche, restituiscono la percezione delle città della industriosa Turingia come modello percorribile di relazioni industriali e di rapporto tra operai e progresso tecnologico, tra dimensione umana ed organizzazione scientifica del lavoro.
Quotidianamente a contatto con i lavoratori, composta essa stessa da operai ma anche da tecnici e impiegati, la sezione non deve però apparire come mera cinghia di trasmissione della pedagogia politica nazionale o interprete fedele dell’autorappresentazione internazionalista. L’autunno caldo e gli istituti consiliari che ne emergono con forza sono lì a dimostrare che i grandi ideali, le lotte nazionali sindacali e civili devono essere supportate dalla costante mobilitazione e attenzione alle tematiche di fabbrica. Si intensificano le conferenze di produzione, i convegni operai e gli scambi di conoscenze con le fabbriche del triangolo industriale, si realizzano autonomamente o in collaborazione con docenti universitari studi e iniziative aperte alla città e alle parti sociali che proseguono per tutti gli anni settanta.
Ma sul piano della lotta, iniziata agli albori del fatidico 1968, sarà la nuova generazione (entrata in fabbrica nei sessanta e protagonista della stagione dei consigli di fabbrica e dell’accelerazione del processo sindacale unitario) a emergere come combattivo soggetto politico e a farsi interprete di temi concreti di forte impatto sulla vita degli operai e del territorio: la salute operaia e la nocività delle lavorazioni, la standardizzazione e la ripetitività delle mansioni, l’applicazione dei diritti (come l’assemblea retribuita) in fabbrica, il cottimo e l’organizzazione della produzione, l’inquadramento unico operai-impiegati, sotto la continua pressione della riduzione degli organici e delle strategie ondivaghe del gruppo.
Il monolito partito-sindacato degli anni cinquanta-sessanta vedrà allora incrinare le certezze nel ruolo di direzione e guida, poste in discussione al pari dei riferimenti culturali e geopolitici, dai nuovi strumenti di rappresentanza e da strumenti di lotta, proselitismo e comunicazione che muteranno profondamente gli assetti politici interni alla fabbrica e al partito.
Per approfondire
in biblioteca
Marco Peschiera e Enrico Baiardo, Lanterna rossa. I comunisti a Genova (1943-1991), Genova, Erga 2018
Teresa Malice, The Italian Left and the German Democratic Republic. Trans-local contacts, entangled views and reciprocal imaginations through town twinnings (1960s-1970s), Sissco 2018
Fabrizio Loreto, Il sindacato nella città ferita. Storia della Camera del Lavoro di Genova negli anni sessanta e settanta, Roma, Ediesse 2016
Massimo Bisca, Ansaldo: storia di lavoro e di lotte per la libertà e i diritti, Genova, Anpi 2010
Giovanna Cereseto, Anna Frisone e Laura Varlese, Non è un gioco da ragazze. Femminismo e sindacato: i Coordinamenti donne FLM, Roma, Ediesse 2009
Rossana Rossanda, La ragazza del secolo scorso, Torino, Einaudi 2005
Elvio Cruciani, Ci vediamo in sezione. Raccolta dell’attività politica svolta all’interno dello stabilimento Ansaldo Campi dalla sezione del P.C.I. “P. Togliatti”, Genova, Tipolitografia Nuova Ata 2004
Paolo Arvati, L’Ansaldo e la sua città, in Storia dell’Ansaldo a cura di V. Castronovo, vol. 9, Roma-Bari, Laterza 2002
Eric Hobsbawm, Anni interessanti. Autobiografia di uno storico, Milano, Rizzoli 2002
Miriam Mafai, Botteghe Oscure, addio. Come eravamo comunisti, Milano, Mondadori 1996
Adele Maiello, Un sindacato allo specchio. La Fiom ligure in una generazione di militanti, Milano, FrancoAngeli 1989
Partito comunista italiano-Pci, Almanacco 1974, Roma 1974
in archivio
CGIL. Camera del Lavoro di Genova. Fondo complementare. Inventario (1945-2015), a cura di Sebastiano Tringali, versione 2.0, ottobre 2022
Archivio Fondazione Diesse Genova. Fondi P.C.I., P.D.S., D.S. Federazioni di Genova. Inventario (1924-2010), novembre 2020
in videoteca
Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico
TOGLIATTI È RITORNATO (1949)
produzione: Partito Comunista Italiano
regia: Basilio Franchina e Carlo Lizzani
Scheda integrale
Video (YouTube)
Durata: 00:37:00
Il film riprende la grande festa popolare del 26 settembre 1948 per il ritorno di Palmiro Togliatti all’attività politica dopo l’attentato del 14 luglio.
La manifestazione si svolse con la partecipazione di migliaia di cittadini, giunti a Roma da ogni parte d’Italia, che in corteo, partendo da piazza Esedra, attraversarono la città, fino al Foro Italico, dove ebbe luogo il comizio finale di Togliatti e di altri dirigenti del PCI, tra cui Pietro Ingrao, Enrico Berlinguer e Giancarlo Pajetta.
UN FILM SUL PCI (1979)
produzione: Unitelefilm – Roma
regia: Ansano Giannarelli
Scheda integrale
Video (YouTube)
Durata: 01:06:30
Il film racconta la storia del Pci, dal dicembre 1978 al settembre 1979, attraverso una serie di avvenimenti politici collettivi.
Si segnalano in particolare le riprese dei portuali di Genova che discutono sulla questione Vietnam – Cambogia; del dibattito alla Mirafiori sulla crisi di governo; delle testimonianze dei sindaci di Bologna e Napoli, dei compagni di Guido Rossa.
COMUNISTI QUOTIDIANI (1980)
produzione: Unitelefilm – Roma
regia: Ugo Gregoretti
Scheda integrale
Video (YouTube)
Durata: 01:20:00
Gregoretti racconta, per la serie di film “Un autore, una città”, la vita di due sezioni romane del Pci, una del centro storico e l’altra in periferia, a Cinecittà.
i documenti
Immagine di copertina: Partecipazione della delegazione comunista della Sardegna alle esequie in piazza San Giovanni a Roma del Segretario generale del Partito comunista italiano Enrico Berlinguer, Roma 13 giugno 1984. Archivio fotografico Ufficio Stampa e Relazioni Esterne Cgil Genova e Liguria, scheda 3006 (donazione Angelo Manca) (CDLM_RES_AF_50_0006)
1. Folla al comizio elettorale di Umberto Terracini in piazza della Vittoria a Genova in occasione delle elezioni politiche del 7 giugno 1953. Archivio iconofotografico del Centro ligure di Storia sociale, fondo Gaetano Perillo, scheda 756 (CLSS-AF 0756 Perillo)
2. Manifestazione per la pace in Piazza della Vittoria a Genova, 1957. Archivio iconofotografico del Centro ligure di Storia sociale, fondo Camera del Lavoro di Genova, scheda 647 (CLSS_AF_0647)
7. Riunione della sezione comunista P. Togliatti dell’Ansaldo Elettrotecnico, 1951-1953. Archivio della Camera del Lavoro Metropolitana di Genova, Fondo complementare, serie Elvio Cruciani, b. 71, fasc. 1, s.fasc. 5 (CDLM-FC-071-01.5-005)
8. Elvio Cruciani (secondo da sinistra) con alcuni volontari Cgil all’ingresso della Casa del Sindacato di Genova. Archivio fotografico Ufficio Stampa e Relazioni Esterne Cgil Genova e Liguria, scheda 1578 (CDLM_RES_AF_21_1045)
9. Riunione della sezione comunista P. Togliatti dell’Ansaldo Elettrotecnico, 1951-1953. Archivio della Camera del Lavoro Metropolitana di Genova, Fondo complementare, serie Elvio Cruciani, b. 71, fasc. 1, s.fasc. 5 (CDLM-FC-071-01.5-006)
10. Festa dell’8 marzo alla mensa dell’Ansaldo Elettrotecnico, 1956. Archivio della Camera del Lavoro Metropolitana di Genova, Fondo complementare, serie Elvio Cruciani, b. 72, fasc. 1, s.fasc. 19 (CDLM-FC-072-01.19-001)
11. Statuto del circolo culturale (1964) dell’Asgen di Campi, Archivio della Camera del Lavoro Metropolitana di Genova, Fondo complementare, serie Elvio Cruciani, b. 71, fasc. 1, s.fasc. 5 (CDLM-FC-071-01.5-006)
8. Locandina per l’inaugurazione della nuova sede della sezione comunista P. Togliatti (1971), Archivio della Camera del Lavoro Metropolitana di Genova, Fondo complementare, serie Elvio Cruciani, b. 72, fasc. 1, s.fasc. 21 (CDLM-FC-072-01.21-00)
9. Invito al dibattito in preparazione al VII Congresso della sezione P. Togliatti dell’Asgen (1975). Archivio della Camera del Lavoro Metropolitana di Genova, Fondo complementare, serie Elvio Cruciani, b. 70, fasc. 1 (CDLM-FC-070-01-012)
10. Tessera del Pci per il 1965. Archivio iconofotografico del Centro ligure di Storia sociale, fondo Gelasio Adamoli, scheda 1247 (CLSS-AF 1247 B Adamoli)
11. Visita della delegazione della Freier Deutsche Gewerkschaftsbund-FDGB (Libera Federazione dei Sindacati Tedeschi) di Gera (RDT) alla Cgil di Genova, 1971. Archivio fotografico Ufficio Stampa e Relazioni Esterne Cgil Genova e Liguria, scheda 1310 (CDLM_RES_AF_14_0733_r)
12. Manifesto per l’assemblea aperta e la manifestazione per il piano energetico nazionale, 29 aprile 1976. Archivio storico Camera del Lavoro di Genova, fondo Manifesti, scheda 66 (CDLM_MAN_66-194)
13. Documento della sezione comunista dell’Asgen sul piano industriale. Archivio CdLM, Fondo complementare, serie Elvio Cruciani, b. 72, fasc. 1, s.fasc. 29 (CDLM-FC-072-01.29-018)
14. Manifestazione a Genova durante lo sciopero generale regionale del 14 maggio 1970. Spezzone del corteo dell’Asgen in via XX Settembre. Archivio fotografico Ufficio Stampa e Relazioni Esterne Cgil Genova e Liguria, scheda 105 (CDLM_RES_AF_02_0100)
125. Foto di gruppo di militanti del Partito comunista italiano, sezione ‘Malachina’ di Genova Pegli. Archivio fotografico Ufficio Stampa e Relazioni Esterne Cgil Genova e Liguria, scheda 740 (CDLM_RES_AF_07_0389_b)