Il Porto è da sempre un argomento che nella nostra città è fonte di dibattito, polemiche, divisioni. Troppo spesso ci si dimentica come sia anche fonte di ricchezza per l’economia, non solo genovese, e dignitoso sostentamento per migliaia di persone.
In questi mesi è stato inevitabile abbinare la portualità al disastro del Ponte Morandi, alle ricadute sui traffici, alla necessità di realizzare nuove infrastrutture; secondo noi c’è anche un altro argomento che sta avendo poca attenzione, ma che preannuncia uno sconvolgimento nell’assetto dello scalo più importante d’Italia. Ci riferiamo alla recente notizia dello scioglimento dell’accordo tra i soci della cordata che si era assicurata la gestione della costruenda Calata Bettolo. Da quanto ci è dato sapere, il gruppo G.I.P. (attuale gestore del terminal SECH), ha lasciato l’alleanza costituita con Msc consentendo a quest’ultima di proporsi come unico gestore della nuova Bettolo.
Non è nostra intenzione, né compito, addentrarci nelle motivazioni che stanno alla base di questa scelta imprenditoriale. Vogliamo invece sottoporre all’attenzione dell’Autorità di Sistema Portuale, delle Istituzioni Locali, alcune riflessioni sulle possibili conseguenze che questo “divorzio” potrà avere sull’assetto della portualità. È poco credibile che nessuno di questi soggetti si stia rendendo conto che il Porto di Genova sta finendo nelle mani di un solo, seppur importante, operatore.
Traghetti, crociere, rinfuse ed ora, se le notizie che circolano sono vere, due terminal che, da piano regolatore portuale, sono destinati e già utilizzati per movimentare containers.
Non c’è solo una valutazione su un eventuale aspetto giuridico (risulta ancora in vigore la Legge 84/94 che all’articolo 18 comma 7 recita “l’impresa concessionaria… non può essere al tempo stesso concessionaria di altra area demaniale nello stesso porto, a meno che l’attività… sia differente da quella di cui alle concessioni già esistenti”) che sarebbe interessante capire come verrà interpretato e fatto rispettare, ma si evidenzia il disegno di una portualità diversa da quella finora conosciuta.
Già l’ingresso di Fondi di investimento in alcuni terminal hanno cambiato l’assetto azionario emarginando il ruolo di chi il terminalismo a Genova lo ha inventato, investendo, facendo utili e superando momenti di crisi senza creare traumi occupazionali.
Non é dato sapere se la stessa accortezza sarà utilizzata dai gestori dei Fondi che, per loro natura, guardano più all’interesse economico che all’aspetto sociale. Salvo prova contraria, va però considerata come un’opportunità il fatto che investitori internazionali decidano di puntare sul Porto di Genova.
Ciò che appare all’orizzonte consegna però alcune novità ed altrettante riflessioni: è giusto accettare passivamente (o magari spingere affinché ciò avvenga in modo più o meno occulto) che nei fatti, il destino dello scalo finisca nelle mani di un solo, per quanto importante, armatore? Siamo di fronte ad uno stravolgimento della portualità, per come l’abbiamo conosciuta in questi anni, con il dominio sul mercato degli armatori che possono rendere marginale il ruolo del terminalismo puro. Ciò, assieme alla sempre più spinta automazione, quali effetti provocheranno su Genova e sulla sua occupazione?
La città ha già perso troppi posti di lavoro e gli investimenti sul nostro porto devono coniugarsi anche con il bisogno di offrire opportunità d’impiego ai molti giovani che sul territorio faticano a trovare risposte che sempre di più ricercano fuori dai nostri confini, elemento questo che incide sulla crescita generale della nostra città.
Quali regole è necessario inserire affinché tutto ciò non si traduca in uno strapotere assoluto di un solo soggetto?
Crediamo che le Istituzioni, Autorità di Sistema Portuale compresa, debbano avere un ruolo determinante in ciò. Non si tratta di rimettere in discussione la privatizzazione, ma di stabilire regole certe a tutela di interessi generali.
Una su tutte riguarda il lavoro. La Legge 84/94 non ha certo reso omogenea l’organizzazione del lavoro nei porti. Ogni scalo si è attrezzato come meglio ha potuto, tenendo anche conto della propria storia.
A Genova vige e funziona un accordo, a seguito anche di una gara per definire la fornitura del lavoro temporaneo (articolo 17), che vede però da tempo la stessa componente lavoro in sofferenza.
È in grado l’Autorità di Sistema Portuale di partire dalla conferma di questa organizzazione come minima richiesta prima di assegnare le concessioni?
Peraltro oggi l’emergenza è quella di rendere stabile proprio l’art. 17, cioè la Culmv. A questo soggetto è stato richiesto un piano riorganizzativo, presentato ed approvato. Nonostante ciò continua una difficoltà economica che mette in discussione l’erogazione degli stipendi, causata da crediti dovuti e non riscossi. Non siamo di fronte ad un contenzioso, ma al mancato pagamento di prestazioni già fornite. Questo non è tollerabile, non può passare il principio che a prestazione non corrisponda retribuzione; se qualche impresa non è in grado di garantire questa regola elementare, o chi sta trattando per entrare nel suo azionariato si fa carico di quanto dovuto ai lavoratori dando un primo segnale di apertura verso Genova, o a farsene carico dovrà essere l’intero sistema. Uno dei fattori determinanti per il successo dello scalo in questi anni è stata la pace sociale garantita dall’equilibrio che è stato trovato e perseguito. Non retribuire i lavoratori è un atto che rompe questo equilibrio. Genova e il suo porto hanno oggi più che mai bisogno di stabilità e lavoro.
Igor Magni Segretario Generale Camera del Lavoro Genova
Enrico Poggi Segretario Generale Filt Cgil Genova
Ivano Bosco funzionario Camera del Lavoron di Genova