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Si dice che i medici siano una categoria poco sindacalizzata. Non è vero, o forse in passato. Negli ultimi anni sempre di più sta crescendo un vero e proprio “bisogno di sindacato” anche tra quei professionisti della salute che un tempo – ormai molto lontano – venivano chiamati privilegiati, ma che già da tempo stanno vivendo sulla loro pelle gli effetti dello smantellamento programmato di quel Servizio Sanitario Nazionale che tanto è stato elogiato e tanto poco è stato protetto dagli attacchi delle derive privatistiche.
E i Dirigenti Sanitari? Chi ne parla, chi fa sentire la loro voce, chi li rappresenta? Molti se ne dimenticano ma biologi, fisici, chimici, psicologi, medici veterinari ecc., sono parte integrante dell’universo assistenziale sia ospedaliero che del territorio, vitali tanto quanto le figure sanitarie “più visibili” nell’indirizzare il percorso preventivo, diagnostico e terapeutico di tutti quei soggetti (cittadini, persone, animali) che chiedono a gran voce il loro bisogno di salute.
Ma cosa intendiamo con “bisogno di sindacato”? Come entra tutto questo nei luoghi di lavoro, nei corridoi dei reparti, nelle sale operatorie, nei laboratori e negli ambulatori territoriali?
Ci entra eccome, sotto forma di conoscenza sempre maggiore, sempre più approfondita del ruolo del dirigente medico e sanitario così come delineato nel Contratto Collettivo Nazionale. Perché al di là dello stabilire stipendio base, indennità e altre voci economiche – e un sindacato non può certo non parlare di salario – il Contratto Collettivo Nazionale ci caratterizza e sostiene nel gravoso lavoro di esercenti una pubblica funzione con diritti e doveri, e in tal modo traccia articolo dopo articolo un vero e proprio percorso di tutela del lavoratore. Percorso che non si fa certo da solo.
Ma come possiamo noi medici e dirigenti sanitari del Servizio Sanitario Nazionale, noi che a questa caratterizzazione forte di appartenenza a ruoli di pubblica utilità siamo legati, far sentire la nostra voce? La bozza della legge finanziaria in lavorazione non solo assegna un misero 5,78% di risorse sul rinnovo dei contratti pubblici a fronte di un’inflazione quasi al 18%, ma non finanzia in nessun modo l’assunzione di personale. Nonostante il problema dei medici a prestazione d’opera – i cosiddetti gettonisti – sia stato riconosciuto anche dal Ministro della Salute, si continua imperterriti a non voler vincolare risorse sulle assunzioni, facendo di conseguenza dilagare il fenomeno del gettonismo, e facendo salire alle stelle gli oneri regionali per beni e servizi.
E in Liguria ne stiamo già sperimentando l’indirizzo, laddove nonostante l’innegabile difficoltà in termini di bilancio in cui versa il Servizio Sanitario Regionale viene creata una Giunta in quasi completa continuità con la precedente e una task-force di esperti di cui fanno parte addirittura medici di strutture private e di holding sanitarie. Con totale assenza di figure tecniche e dell’area della salute mentale, dell’igiene e della profilassi, della medicina del lavoro.
Ecco, può allora lo strumento sindacale rappresentare la categoria dei medici e dirigenti sanitari sostenendone tutte le rivendicazioni? Può essere utile partecipare allo sciopero generale del 29 novembre indetto dai grandi sindacati confederali Cgil e Uil? Il focus è chiaro e la comunione di intenti anche: se garantire la sopravvivenza del Servizio Sanitario nazionale (perché di sopravvivenza ormai si parla) significa garantire un diritto costituzionalmente sancito, e se difendere la salute vuol dire difendere il principio di coesione sociale di un Paese allora scioperare diventa un atto necessario. Perché la vera “rivolta sociale” è che senza salute non può esistere democrazia, e i medici e dirigenti sanitari in quanto garanti di questo principio hanno il dovere di urlarlo a gran voce.

Francesca Simona Greco, Responsabile Fp Cgil Medici e Dirigenti Sanitari