Intervento di Igor Magni al convegno ๐๐ฎ๐น๐น๐ฎ ๐๐ถ๐ด๐๐ฟ๐ถ๐ฎ ๐ฎ๐น ๐ฅ๐ฒ๐ถ๐ฐ๐ต ๐ง๐ฟ๐ฎ ๐ณ๐ฎ๐๐ฐ๐ถ๐๐บ๐ผ ๐บ๐ผ๐ป๐ฎ๐ฟ๐ฐ๐ต๐ถ๐ฐ๐ผ ๐ฒ ๐ฅ๐ฒ๐ฝ๐๐ฏ๐ฏ๐น๐ถ๐ฐ๐ฎ ๐ฆ๐ผ๐ฐ๐ถ๐ฎ๐น๐ฒ ๐ถ๐๐ฎ๐น๐ถ๐ฎ๐ป๐ฎ
bozza
Per prima cosa vorrei ringraziare gli organizzatori di questa iniziativa che ci permette di tornare sulla recente storia del nostro passato. Eโ un esercizio di memoria importante perchรฉ purtroppo lโattualitร ci consegna un Paese che stenta ad imparare dalla storia, che in qualche caso la vuole addirittura riscrivere portando lโacqua al proprio mulino.
E invece abbiamo bisogno di ricordare perchรฉ negli ultimi tempi, purtroppo, si sono moltiplicati gli episodi inneggianti la dittatura fascista e lโideologia nazista:ย mal celati saluti nazisti anche dentro le istituzioni pubbliche, minacce a rappresentanti delle istituzioni, attacchi vigliacchi alle sedi sindacali come quello subito dalla sede nazionale della Cgil a Roma, lโequiparazione delle misure a contenimento della pandemia con le deportazioni nazi fasciste, sono solo alcune delle ย provocazioni riportate dalla cronaca che non possono essere relegate a goliardate.
Nemmeno il pesante clima sociale che stiamo vivendo in pandemia giustifica certe storture della realtร e credo che in tutto questo le istituzioni e soprattutto certa parte della politica abbiano le ย loro responsabilitร .
Del resto nel nostro Paese รจ in corso un pericoloso processo di revisionismo storico โpacificatorioโ, che viene utilizzato strumentalmente da larghi settori delle classi dirigenti, diventando in questo modo un revisionismo liquidatorio che mette in un unico grande calderone le ragioni degli uni e degli altri, arrivando ad equipararle.
Ecco perchรฉ รจ giusto essere qui oggi non solo come celebrazione fine a se stessa ma come momento per rimettere le cose in ordine ricordando quali siano state le veritร storiche e le differenze tra chi stava da una parte e chi stava dallโaltra.
Con il sottotitolo dellโiniziativa di oggi โLavoro, violenza e coazione per lโeconomia di guerra nazionalsocialistaโ entra in campo la storia del movimento operaio e sindacale italiano spesso vittima di una politica repressiva che ha causato veri e propri drammi sociali e in molti casi centinaia di vittime. Come Camera del lavoro abbiamo messo al centro dei nostri obiettivi la promozione allโinterno e allโesterno del sindacato del materiale storico dellโattivitร sindacale e quindi del mondo del lavoro. A questo scopo, accanto allโArchivio storico Cgil conservato presso lโArchivio Storico del Comune di Genova qui accanto a Palazzo Ducale, ne abbiamo costituito un secondo presso la nostra sede di Cornigliano. Eโ da questo secondo nucleo dal quale oggi ho attinto documentazione per il mio intervento. Nellโarchivio ci sono molti documenti affluiti allโarchivio prevalentemente a seguito di call pubbliche e per iniziativa di organizzazioni di categoria e singoli iscritti che stiamo costantemente implementando. A titolo di esempio e proprio sul tema di oggi, segnalo un documento del 1931 riferito all’Ansaldo Elettrotecnico nel quale sono elencati i nomi dei lavoratori di Ansaldo che non vollero iscriversi al sindacato fascista, alcuni di questi โlicenziati per rappresagliaโ riporta il documento. Oppure il documento del maggio 1945 โ sempre Ansaldo – contenente lโelenco di macchine e materiali sottratti ai tedeschi. E naturalmente abbiamo documenti che ricordano la deportazione operaia dalle fabbriche del Ponente del 16 giugno 1944.
Insomma l’intero corpus del patrimonio culturale rispecchia l’identitร di un mondo del lavoro e del sindacatoย che mantiene ferme radici nella lotta resistenziale e fa dell’antifascismo una pratica militante.
Mi fa piacere qui rileggere con voi un breve estratto di quanto scrisse Paolo Arvati ย in occasione del sessantacinquesimo dellโanniversario di quei fatti;ย tra lโaltro la moglie di Paolo, Ornella, ci ha concesso di implementare la documentazione del nostro Archivio con il materiale di Paolo.
Quello del 16 giugno 1944, รจ uno dei momenti piรน tragici della Resistenza genovese, uno dei piรน efferati crimini dell’occupazione nazifascista della nostra Cittร e di tutto il Nord Italia.
Venerdรฌ 16 giugno 1944, nella tarda mattinata di una giornata caldissima, scatta la rappresaglia guidata dalle forze di occupazione tedesca con la partecipazione di polizia e brigate nere. Furono colpite le fabbriche piรน combattive nelle agitazioni dei mesi precedenti, a partire dagli scioperi di dicembre 1943, penso ad esempio alla Siac di Campi, il Cantiere, la San Giorgio, la Piaggio di Sestri. I lavoratori furono radunati nei piazzali, selezionati, caricati a centinaia su autobus e camion cosรฌ come si trovavano, in tuta, con gli zoccoli, molti in canottiera. Nella rete caddero in circa 1500. Fu una delle rappresaglie piรน gravi e piรน vaste tra tutte quelle nel Nord e Centro Italia dell’intero periodo di occupazione nazifascista. Ebbe un intento prevalentemente repressivo, ma fu anche una risposta all’esigenza di reclutare lavoro forzato per l’economia di guerra tedesca. Lavoro forzato che in Germania complessivamente interessรฒ oltre mezzo milione di italiani, di cui oltre 65.000 lavoratori industriali arruolati e oltre 450.000 militari internati, poi d’autoritร trasformati in lavoratori civili.
E quindi, ritornando al tema, vorrei sottolineare la centralitร degli scioperi, specie in Liguria. Una regione strategica per vari motivi: per i timori tedeschi di uno sbarco alleato sulle coste liguri e per il fatto di essere sede di un apparato industriale e portuale vitale per lo sforzo bellico. Nella regione i tre fattori di instabilitร per i nazifascisti ci sono tutti: ci sono i partigiani sulle montagne, i Gap in cittร e ci sono le lotte dei lavoratori.
Quelli del 43-45 furono scioperi grandiosi, dentro un regime che lo vietava, e che furono dunque un’azione collettiva che violava l’ordine militare delle fabbriche. Con rischi altissimi per gli operai, non di essere semplicemente licenziati, ma di essere arrestati, deportati o fucilati. Il successo politico fu grande, senza precedenti. Seguirono i rastrellamenti, la rappresaglia e la deportazione a Mathausen, come ho precedentemente ricordato con le parole di Arvati.
Furono gli operai, in particolare metalmeccanici, a guidare la mobilitazione. Ma si mossero anche altre categorie, i tranvieri, i tipografi che per giorni impedirono lโuscita dei quotidiani.
A differenza di altri movimenti di liberazione in Europa, lโantifascismo italiano ebbe un carattere sociale ben visibile. Se infatti i partiti ebbero un ruolo importante nella preparazione, a livello organizzativo la spinta della base fu decisiva. I Comitati clandestini, nati in molte fabbriche, guidarono la lotta, esponendosi direttamente alle rappresaglie. Come ricordavo prima si trattรฒ di quegli stessi lavoratori che ebbero il merito enorme di salvare il patrimonio nazionale (industriale, infrastrutturale, portuale) dalla furia dei nazisti in fuga,.
Oggi, assistiamo da un lato al tentativo di riscrivere la storia annullando i valori della Resistenza e dallโaltro molte forze di governo sono sostanzialmente estranee alla cultura antifascista alla base della nostra Costituzione e della nostra democrazia; per questo รจ assolutamente necessario non dimenticare quello che fu e il costo elevatissimo di vite umane che quella guerra di liberazione comportรฒ; occorre coltivare giorno per giorno la memoria di quei tragici eventiย e delle lotte del mondo del lavoro perchรฉ le nuove generazioni non possano mai vivere lโorrore di quel dramma collettivo, e possano difendere ed espandere quei valori di libertร e giustizia sociale che spinsero i partigiani sulle montagne e i lavoratori fuori dalle fabbriche.