Nedo Canetti ricorda la Libera Repubblica di Pigna
Quasi 71 anni fa, in un giorno di settembre, il 18 settembre per la precisione storica, nasceva, per impulso della Va Brigata Garibaldi e per scelta di popolo, la libera repubblica di Pigna.
Repubblica partigiana, democratica, popolare.
Partigiana -sottolineo- perché, al di là della denominazione ufficiale dell’atto costitutivo, nasce dal cuore e nel cuore della guerra partigiana.
Ebbe vita breve, breve ma gloriosa. 71 anni sono molti.
La memoria si allontana, i ricordi svaniscono.
Molti protagonisti e testimoni ci hanno lasciato.
Tutto congiura per l’oblio.
Noi però non dimentichiamo. Non vogliamo dimenticare
Oltre ogni vieta retorica, non può esserci, infatti, oblio alcuno per un avvenimento, di così alto valore , come quello che qui giustamente ricordiamo.
Non può esserci alcun oblio perché si tratta di uno di quegli eventi che lasciano un’orma profonda, una traccia indelebile nella storia.
Storia di una comunità che questa memoria conserva gelosamente, come abbiamo potuto constatare nella celebrazione a Pigna, di settembre.
Storia della Resistenza e storia d’Italia.
Non rito ripetitivo dunque, ma giusta memoria.
Abbiamo il dovere di ricordare.
Ricordare due volte per noi stessi e per sconfiggerer quelli che vogliono dimenticare e far dimenticare.
Le repubbliche partigiane, una ventina (22 per la precisione, secondo gli storici), tra le quali la nostra di Pigna e l’altra ligure, di Torriglia, nascono, tra l’estate e l’autunno del 1944, a macchia d leopardo, lungo gli Appennini e l’arco alpino, in territori montani e collinari, provvisoriamente liberati all’occupazione nazi-fascista.
Si tratta di vere e proprie entità statali anche se, quasi tutte purtroppo di breve vita, salvo quella della Valsesia, che resistette sino alla Liberazione.
Si collocano in un preciso frangente della seconda guerra mondiale, quello che vede gli Alleati che, vinta il 18 maggio la battaglia di Montecassino, sfondata la linea Gustav e liberata Roma il 4 giugno, occupano rapidamente quasi tutta l’Italia centrale.
Molti Comitati di liberazione e non pochi Comandi partigiani ritenendo, come d’altronde un po’ tutti, che l’avanzata sarebbe proseguita rapidamente e che, entro pochi mesi, tutta l’Italia sarebbe stata liberata, rompono gli indugi e, approfittando del fatto che l’esercito tedesco è impegnato a contenere l’offensiva anglo-americana, passano decisamente all’attacco, in modo da facilitare, ritengono, la liberazione del Nord, prima ancora che giungano gli eserciti Alleati.
Per far trovare le città, i paesi e i borghi liberi perché liberati dagli italiani.
Il 14 giugno il Cln nazionale Alta Italia lancia un appello per l’offensiva generale.
Appello che è, nel contempo, un programma.
“La fase conclusiva della lotta -proclama infatti il Cln- deve trovare pronti gli italiani alla gestione del potere amministrativo”.
Nasce da qui la disposizione affinché vengano creati governi locali nelle zone liberate dai nazifascisti.
Sorgono le zone libere. Governi che assumono il potere amministrativo oltre a quello militare.
Con nomi diversi. Si ricordano nomi come Giunta popolare e comunale; Giunta popolare amministrativa; Giunta provvisoria di governo.
Anche nomi come Direttorio e Giunta di salute pubblica che si rifanno alla Rivoluzione francese.
A Pigna il nuovo inquadramento amministrativo sorge proprio in quei giorni, si chiamerà, come attesta il verbale della prima seduta del 18 settembre 1944 “Repubblica di Pigna”.
Gli attacchi partigiani ordinati dal Cln hanno , infatti, largo successo.
Si liberano, al termine di intensi combattimenti, vaste aree. Combattimenti sanguinosi, asperrimi di cui abbiamo ricche testimonianze, raccolte in un prezioso volumetto edito nel 1985 dal nostro Istituto storico della Resistenza.
Battaglie che videro, insieme all’ardire dei giovani combattenti, la sagacia tattica di comandanti come Vittò che già aveva sperimentato la lotta armata contro il franchismo in Spagna e come Leo Caraballona, Vittorio Curlo, e Armando Izzo, Fragola, che avevano maturato esperienza militare, come ufficiali dell’esercito.
Purtroppo, i calcoli di strategia militare dei comandi partigiani e dello stesso Cln non tennero conto delle capacità della Wehrmatch di predisporre nell’Italia centrale una seconda linea difensiva, quella chiamata gotica, capace di bloccare ancora per molti mesi l’avanzata alleata.
Anche le speranze di uno sbarco tra la Costa Azzurra e la nostra Riviera che allora sembrava imminente, svaniranno in autunno.
Speranze che erano corse largamente non solo tra la Resistenza in montagna ma pure nelle città (io, allora quindicenne, ricordo benissimo il rapido propagarsi a Imperia di queste voci. In casa mia, dove si riuniva una mini-cellula antifascista, se ne parlava come di cosa sicura).
La stessa presenza nelle zone presidiate dai partigiani della missione militare alleata e che nel citato volume dell’Istituto storico, viene spesso menzionata , aveva alimentato queste speranze.
Dovette invece rinunciare al suo compito di raccordo tra Resistenza ed eserciti alleati e mettersi al sicuro in Francia, grazie ai nostri partigiani.
I tedeschi poterono, allora, bloccate la V e l’VIII armate sulla linea gotica, stornare una parte consistente delle proprie forze e rivolgerle, coadiuvate dai reparti fascisti della repubblica di Salò, contro la Resistenza e le repubbliche partigiane .
Accadde naturalmente anche per la repubblica di Pigna.
L’attacco fu feroce La difesa dura, tenace e sanguinosa.
Molti i caduti partigiani e, purtroppo, tante le vittime civili.
I tedeschi usarono addirittura l’artiglieria per sloggiare i resistenti da Pigna, temendo che l’esempio della libera repubblica, assolutamente da spazzare via, rappresentasse un esempio di governo per le zone vicine.
Il territorio della repubblica fu conteso palmo a palmo, a partire dal massiccio rastrellamento iniziato dai tedeschi a fondovalle già a settembre e durato fino alla drammatica battaglia dell’8 ottobre in cui rifulsero episodi di grande eroismo.
Quando i comandi partigiani, vista la situazione ormai compromessa, furono costretti a prendere la dolorosa decisione della ritirata, in modo da attestarsi su posizioni più favorevoli.
Ritirata che fu però anche un capolavoro tattico perché si riuscì, pur con notevoli difficoltà e con perdite in uomini e materiale, a portare in salvo quasi tutte le forze in campo.
Moriva dopo solo 20 giorni di vita la libera Repubblica di Pigna.
Per Pigna e per la sua gente furono momenti terribili, la popolazione che era stata solidale con la Repubblica subì dure conseguenze.
Una tragica rappresaglia.
Ci sono alcune note dello storico Massimo Legnani che sono, al proposito, emblematiche.
“Le case bruciano -scrive- dopo il bombardamento da sembrare il finimondo in Pigna e fuori a Buggio, bruciano, divampano dai vicoli e crollano.
Allora le donne da sole arrancano con la schiena dritta verso le baite e ancora più su portandosi tutto nei fagotti coi bimbi piccoli aggrappati alla gonna”
Un’immagine che, in pochi tratti, disegna tutto il dramma di quelle ore.
E’ giusto e doveroso, allora, ricordare, insieme a quello dei combattenti per la libertà, gli eroi giovinetti come amava chiamarli Piero Calamandrei, il sacrificio dei civili.
Uomini e donne, anziani e fanciulli.
Pagò duramente tutto un popolo.
Intanto, come non fosse bastato il blocco dell’avanzata degli eserciti anglo-americani, il 13 novembre piombò sui partigiani e sui dirigenti della Resistenza, il terribile fulmine a ciel sereno del proclama del maresciallo Alexander che annunciava la sospensione delle azioni alleate sul fronte italiano e invitava i partigiani a ritirarsi in montagna e a cessare praticamente la lotta.
Un colpo tremendo che poteva essere fatale per la Resistenza e che certo lo fu per quelle libere repubbliche che ancora resistevano.
E’ noto che il Cln e i comandi partigiani non obbedirono all’ordine di Alexander e che gli attacchi al nemico continuarono, ma è altrettanto noto che da quel momento la lotta di Liberazione diventò ancora più sofferta, tragicamente sanguinosa.
In montagna, quello del ’44-45 fu un inverno terribile. Di rastrellamenti ed eccidi, di borghi bruciati e di tanti tanti caduti.
Ad una ad una tutte le repubbliche furono travolte. Si chiudeva una bella pagina della storia della Resistenza e della storia d’Italia.
Dobbiamo onestamente riconoscere che nella storiografia della Resistenza, l’esperienza di questi liberi territori, delle Repubbliche partigiane è stata, per qualche tempo, un poco dimenticata o sottovalutata.
Si è dato molto più spazio agli eventi militari.
Alle imprese, alle battaglie, all’opera di sabotaggio della macchina bellica nazista.
Forse si intendeva giustamente valorizzare quanto i partigiani avevano fatto per sconfiggere i nazifascisti.
Anche per gli eventi che oggi qui ricordiamo, si è concesso giustamente molto risalto ai momenti di lotta, ai successi prima e alla difesa militare poi della Repubblica.
Molto risalto, come meritano, alle figure dei combattenti.
Meno all’esperimento politico-amministrativo
Solo più tardi si è giustamente valorizzata la peculiarità di quel progetto. A cominciare, come hanno scritto in molti – e oggi vogliamo, ancora una volta, sottolinearlo- da quell’ aspetto straordinario della vita della Repubblica che fu il coinvolgimento e l’adesione degli abitanti.
Un’adesione vera, consapevole, non una forzatura, nonostante i pericoli che ciò comportava per la stessa vita.
Gli abitanti erano con la libera repubblica.
Ne avevano compreso il significato.
A questo proposito il comandante Vittorio Curlo, Leo ha detto parole significative. “La gente delle nostre valli-ha scritto- non solo era con noi ma era di noi” .
Una frase che scolpisce nitidamente qualcosa che ha il sapore della storia.
“Chi toca in toca tutti” era il grido.
Quasi una parola d’ordine.
Solidarietà, fraternità, unità di intenti. Unità non solo dei combattenti e dei dirigenti a qualsiasi forza politica appartenessero, ma vera unità di popolo.
E’ giusto non solo valorizzare, sul piano storico, l’esperienza delle libere repubbliche partigiane, ma saperne cogliere aspetti che vanno oltre il momento bellico.
Uno riguarda proprio questa adesione di popolo di cui abbiamo parlato.
Non solo per il momento contingente, pur di enorme rilevanza, della liberazione dai tedeschi e dai fascisti.
Ma proprio come una sorta di sperimentazione della democrazia riscoperta o scoperta per la prima volta. La capacità di sapersi amministrare.
Un vero assetto di governo , dopo la dittatura fascista
E assetto di vita quotidiana, la sperimentazione di nuove istituzioni amministrative, nel quale il potere si esercita dando autorità al popolo. Un fatto storico corale, comunitario.
Tornano alla mente i liberi comuni dell’Italia medioevale con la loro autonomia e le loro libere istituzioni.
Un secondo aspetto da rilevare è -come dire- la normalità di vita quotidiana che si intende conferire agli organi di potere della Repubblica.
Sono emblematici due episodi. Uno riguarda la convocazione all’assemblea popolare da parte del Podestà fascista del tempo
E la sua accettazione, pur dopo che era stato dichiarato decaduto, di collaborare con il nuovo governo , riconoscendo così le nuove autorità comunali e addirittura la decisione di dare a lui l’incarico di firmare eventuali documenti destinati al di fuori dell’ambito comunale, pur sotto il controllo del neo sindaco.
L’altro esempio di questa che ho chiamato normalità è il primo verbale del 18 settembre nel quale si prende atto dell’avvenuta elezione di sindaco e vice sindaco, figure storiche della democrazia prefascista, subito ripristinate che sono Giacomo Borfiga e Lodovico Littardi e si fissa, con l’intento di durare nel tempo,il calendario dei lavori con la domenica come data per le future sedute, ritenendo probabilmente che negli altri giorni si dovesse continuare a lavorare, ma si decide addirittura di assumere in servizio un addetto alla pulizia – Angelo Ramoino -come mutilato e invalido di guerra, riservandosi di fissare, in una altra riunione le sue competenze. Più normalità di così.
Un terzo aspetto, forse quella più politicamente e storicamente rilevante, che occorre mettere in luce è l’ orizzonte democratico che, negli atti della Repubblica, già si intravede per il futuro del Paese Italia.
Quasi a delineare la società di domani.
Si pensa ad un paese libero, democratico, solidale con maggior giustizia sociale. Si tracciano le linee -qui si vede la mano di quanti- ,da Vittò a Sumi a Caraballona, già avevano dimestichezza con le regole democratiche- di quella che dovrà essere l’assetto del Paese e, in nuce, possiamo azzardare, la futura Costituzione repubblicana.
Dall’utopia alla realtà. Sogni di democrazia trasformati in vita vissuta.
Repubbliche come laboratori, dove si sperimentarono piccole mini-costituzioni e si cerca di rimettere in moto la macchina della civiltà liberale, travolta dal fascismo.
Tutto questo furono le repubbliche partigiane, questo fu la libera repubblica di Pigna.
Un periodo esaltante della Guerra di Liberazione e un periodo altrettanto esaltante della politica con la P maiuscola.
Si dice spesso che la Resistenza sta alla base delle conquiste della Repubblica e della Costituzione.
Non è retorica; facile enfasi.
E’ la realtà contro ogni mistificazione, negazionismo, stravolgimento.
Mentre combattevano l’invasore e i fascisti, i partigiani, gli antifascisti, i democratici pensavano già alla nuova Italia. Un pensiero lungo. La Liberazione significò democrazia libertà Costituzione.
Oggi si parla molto di possibili modifiche della Costituzione. Proprio, in questo momento, ne sta discutendo il Parlamento.
Il problema dev’essere valutato sotto due aspetti. Il primo riguarda la necessità di attuarne ancora qualche parte Il diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute; una maggiore giustizia sociale.
Discussione giusta perché ci sono aspetti transeunti che è naturale modificare. Occorre confrontarsi in modo sereno e aperto anche per cambiare ciò che va cambiato.
Con cautela però, avendo ben chiaro che debbono restare integri i principi fondamentali, le basi.
Con poi l’indizione del Referendum, al ,di là della normativa costituzionale, perché i cittadini possano dire la loro.Sia, alla fine, il popolo a decidere.
Non toccare la prima parte della Carta fondamentale. I principi. La libertà, il libero confronto delle idee, la vocazione alla pace, il ripudio della guerra, rifiuto della dittatura, la lotta alle discriminazioni di ogni tipo, l’impegno per una società più giusta.
Ecco, qualcosa di tutto questo già si intravedeva nelle Repubbliche partigiane.
A Pigna e nel suo territorio avemmo allora20 giorni di libero autonomo governo.
Pochi indubbiamente nel quadro dei 20 mesi della lotta partigiana ma di grande spessore.
Un lembo di libertà nel cuore dell’immane tragedia della guerra.
Per questo è giusto continuare a conservarne la memoria.
Rinnovarla anche a distanza di anni.
Fare conoscere questa bella drammatica storia alle nuove generazioni anche come monito perché i giovani capiscano quanto è costata questa libertà, che pare oggi così naturale e quanto sia necessario continuare a difenderla.
Sempre. Ogni giorno, come ogni girno fosse il 25 Aprilesenza abbassare la guardia, perché -come abbiamo potuto vedere in questi anni- in più di una occasione i tentativi per ridurla, questa libertà, infrangerla, cancellarla, non sono mancati.
Ricordare per vigilare, dunque.
Contro ogni rigurgito di razzismo contro i fanatismi di ogni tipo contro i fascismi che si presentano in varie veste da archeofascismo del vecchio stampo, con magari il saluto romano e la camicia nera e il neofascismo tipo casa Pound e Alba dorata o magari quelli mascherati da sciovinismo nazionalista ed antieuropeo tipo il lepenismo , altrettanto pericolosi, forse più pericolosi.
Una celebrazione come quella di Pigna dello scorso settembre in ricordo delle giornate di 71 anni fa; quella che faremo a Torriglia e commemorazione come di questa di oggi sono tasselli di questo impegno, non come nostalgia, come reducismo, ma come segno della perdurante attualità di un evento che ha segnato la storia.