La Camera del Lavoro di Genova e la rsu Arcelor Mittal (ex Ilva) hanno invitato a Genova per il quarantennale della scomparsa di Guido Rossa, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La cerimonia è stata aperta dal delegato Fiom Cgil rsu Arcelo Mittal Genova Armando Palombo. L’intervento introduttivo è stato affidato a Ivano Bosco della Camera del Lavoro Metropolitana di Genova. Di seguito la bozza dell’intervento
Signor Presidente della Repubblica
Gentili Autorità
Rappresentanti del mondo del lavoro
Colleghi
Prima di iniziare il mio intervento permettetemi di ricordare Eros Cinti. Eros aveva 41 anni e lunedì mattina, come tutte le mattine, si è recato regolarmente al lavoro.
I suoi colleghi ed i suoi responsabili ci dicono che era un lavoratore serio, esperto, consapevole.
Durante un’operazione, svolta chissà quante volte, l’imponderabile diventa irreparabile, rimane schiacciato e perde tragicamente la vita.
Lascia due bambini in tenera età, soli, avendo perso pochi mesi fa anche la mamma.
Immediata la reazione dei colleghi, sono subito scattate gare di solidarietà in tutta la città. Non è compito nostro individuare le responsabilità, c’è chi deve farlo, ci auguriamo venga fatto in fretta affinchè incidenti del genere non si ripetano.
Eros, è uno dei circa 3 lavoratori che ogni giorno escono di casa e non vi fanno ritorno. Con lui oggi vogliamo ricordarli tutti.
Dietro ad ogni numero ci sono vite, famiglie, dolori, progetti, speranze svanite. Niente sarà più come prima.
E’ degno di un paese civile questo?
Vogliamo continuare a parlare di tragiche fatalità?
E’ già tardi per fermarci a riflettere e trovare le giuste contromisure.
Si può e si deve fare di più per rendere il lavoro più sicuro, perché altre vite non vengano spezzate.
In fabbrica, nei porti, nei cantieri, nei campi.
La vita delle persone deve essere messa al primo posto nell’ordine delle priorità, prima del profitto, della competitività, della produttività.
Se non facciamo vincere questa cultura, è ipocrita piangere i morti.
E vale per tutti quelli che hanno una qualche responsabilità. Alcune normative inserite nella legge di stabilità sull’antifortunistica o la richiesta di cancellare le norme del codice degli appalti dimostrano che ancora siamo distanti, vanno in misura diametralmente opposta.
Vale per noi, sindacato, che dobbiamo pretendere il lavoro in sicurezza senza tollerare deroghe.
E ora, torno al motivo per il quale oggi siamo qui. È per noi tutti un onore ricordare il Compagno Guido Rossa, nel quarantesimo della sua barbara uccisione, alla presenza del nostro Presidente della Repubblica che ringrazio a nome di tutti per aver accettato il nostro invito.
Da 40 anni Genova, il mondo del lavoro, le Istituzioni, si fermano il 24 gennaio per ricordare.
Non l’abbiamo mai ritenuta una tradizione, un esercizio di retorica: sarebbe il modo più sbagliato per ricordare Guido.
Il dovere che abbiamo sempre sentito è quello di provocare un esercizio di memoria.
Sentiamo questo dovere soprattutto verso i giovani, verso chi quegli anni non li ha vissuti e verso chi, essendo ormai passati 40 anni, tanto giovane ormai non lo è più e neppure si è preoccupato di conoscere la storia di quel periodo.
La memoria, la conoscenza dei fatti, servono per sapere cosa c’è stato prima di noi, per sapere cosa si è costruito, ed anche sbagliato, per arrivare fin qui, per avere speranze per costruire un futuro senza più quegli errori.
Viviamo in un’epoca che spinge a vivere solo il presente e tende a far dimenticare la nostra storia: noi crediamo invece che sia determinante conoscerla perché, come altri hanno affermato, un Paese senza memoria è un Paese che non ha futuro.
Oggi rischia di essere persino poco comprensibile il racconto di quei fatti: un uomo normale, un delegato di fabbrica, un militante del PCI, che decide di denunciare un compagno di lavoro pur sapendo a cosa andava incontro.
Bisogna calarsi nel clima di quegli anni.
Anni di forti contraddizioni, di imponenti lotte che aprirono la strada a importanti riforme che portarono l’Italia nel novero delle grandi democrazie europee, ma che generarono tra la popolazione anche fasce di ingiustizie e marginalizzazione nelle quali i terroristi cercarono di infiltrarsi.
Per loro l’unica via possibile rimaneva lo smantellamento dello Stato da attuarsi attraverso attentati ed omicidi quasi quotidiani. Tutti coloro che rappresentavano lo Stato (quello Stato la cui vita democratica, è bene ricordarlo, è fissata nella Costituzione, figlia della Resistenza e della Liberazione costata migliaia di vite) dovevano essere colpiti: magistrati, politici, dirigenti d’azienda, giornalisti, forze dell’ordine.
Sino ad arrivare ad uccidere un operaio, un sindacalista, soltanto perché aveva fatto il suo dovere: denunciare assassini, terroristi che si nascondevano tra i suoi compagni di lavoro e con il loro agire criminale mettevano in discussione l’assetto democratico del Paese.
Guido sapeva a cosa andava incontro, sapeva cosa rischiava, ma il suo dovere morale, l’etica della responsabilità che lo contraddistinguevano ebbero la meglio su altre considerazioni.
Pagò con la vita questo suo gesto.
La sua vita finì, ma fu anche l’inizio della fine delle Brigate Rosse.
La scelta di un uomo normale, la sua lucidità e la chiarezza del suo gesto resero evidente a tutti (anche a coloro che assunsero in quei tempi un atteggiamento teso a distinguere tra i fini ed i mezzi usati dai terroristi) da che parte bisognava stare, quale era il vero nemico da combattere.
Il mondo del lavoro, guidato da Cgil Cisl Uil, diede una risposta immediata, si sollevò, alzò un muro invalicabile in tutti i posti di lavoro, isolò chiunque potesse essere sospettato anche di sole simpatie per i brigatisti.
A Genova il giorno dei funerali di Guido arrivarono da ogni parte d’Italia 250 mila persone alla presenza del Presidente Pertini.
Da Genova, da quel giorno, iniziò una nuova pagina per il Paese.
Presidente, noi siamo orgogliosi di questo. Genova venne, erroneamente, definita in quegli anni “capitale del terrorismo”. Noi abbiamo sempre preteso di essere ricordati come “capitale della lotta al terrorismo”, nel rispetto di Guido e nel solco delle grandi mobilitazioni che questa città è stata in grado di mettere in campo a difesa della democrazia.
Siamo ben consci che la democrazia (così come i diritti) non è conquistata una volta per tutte. Va coltivata e difesa con sacrificio e fatica. Va difesa sicuramente dalla violenza irrazionale che decide di annientare tutto quello che viene considerato nemico. Non sono giustificabili ideologie o tendenze politiche che causano l’uccisione di persone e mettono a repentaglio la struttura di uno Stato democratico.
Ma la democrazia va difesa anche quotidianamente con azioni e parole che riprendano quei termini che hanno caratterizzato il gesto di Guido Rossa: moralità ed etica della responsabilità. Soprattutto da chi la responsabilità è chiamato ad esercitare.
Proprio perché a Genova sappiamo cosa significa combattere il terrorismo, conosciamo la scia di sangue che ha lasciato, ci permettiamo di dire che ci vuole serietà. Non tutto può essere trasformato in uno spettacolo. C’è da difendere, proteggere, garantire e rispettare forze dell’ordine, parenti delle vittime, l’immagine dello Stato stesso.
Uno Stato che deve essere vicino e proteggere i suoi cittadini, che deve, anche nelle parole e nei gesti, far percepire che la legge va rispettata.
Vale per tutti, la Costituzione ci dice che vale anche per i condannati e ci dice quale scopo ha la detenzione, la Costituzione non parla di spettacolarizzazione. Una democrazia ben radicata ha in sé gli anticorpi per difendersi senza ricorrere ad umiliazioni o alla trasmissione di paure. Entrambe alimentano false e pericolose reazioni. Valeva per il terrorismo, vale quando si inculca la paura dello straniero, del diverso.
Solidarietà, libertà ed uguaglianza erano valori fondamentali per Guido Rossa che non si può certo dire che oggi siano praticati ad esempio quando a poche miglia dalle nostre coste si lasciano morire centinaia di esseri umani, usando uno spaventoso cinismo sulla pelle dei più deboli.
L’ultima considerazione che voglio fare riguarda il mondo del lavoro.
Guido Rossa era un operaio di questa fabbrica che ha visto per anni i lavoratori lottare per la difesa non solo del proprio posto di lavoro, ma per assicurare a Genova ed al Paese una vocazione industriale che oggi appare un termine non troppo praticato nel linguaggio politico. Ci auguriamo di poter dire che la lotta ha pagato proprio qui in questa fabbrica e ci auguriamo che la nuova società (che ringraziamo per quanto si è prodigata per questa giornata) riporti la produzione ai livelli che lo stabilimento merita ed assorba velocemente le persone che oggi sono in cassa integrazione.
Dai lavoratori, dalla loro sollevazione, venne la risposta decisa che sconfisse il terrorismo e convinse una politica titubante da che parte si doveva stare.
Quindi il lavoro come grande protagonista nelle fabbriche e nella società. I lavoratori che lottavano per migliorare le proprie condizioni sapevano di lottare per consolidare la democrazia nel Paese, rivendicando più uguaglianza, più libertà, più emancipazione, per difendere la democrazia.
Essere lavoratore in quegli anni voleva dire avere senso di appartenenza, cercare di migliorare se stessi e il paese. Si scioperava anche contro le Istituzioni, ma nelle Istituzioni ci si riconosceva.
Siamo in grado di dire che oggi è ancora così? Ci auguriamo che una situazione del genere non si ripeta mai più. Ma se così non fosse? Troveremo ancora una classe lavoratrice pronta a mobilitarsi? O la brutta politica di questi anni, l’individualismo che è stato scientificamente inculcato, l’indifferenza, l’egoismo, il progressivo smantellamento dei diritti conquistati, la disoccupazione, l’assenza di ogni speranza di futuro per i giovani, ci consegnano un Paese più esposto e più vulnerabile? C’è la consapevolezza che le mobilitazioni dei lavoratori non siano state solo un esercizio di corporativismo, ma una ricchezza per questo Paese?
Possiamo solo augurarci che la politica torni a rendersene conto e comprenda i danni che ha fatto, anche nelle coscienze, smantellando le conquiste di quegli anni.
La storia, e Guido Rossa con il suo sacrificio che è a pieno titolo nella nostra storia, ci insegna che la difesa della democrazia incomincia con la difesa del valore e della dignità del lavoro.
Ivano Bosco Camera del Lavoro Metropolitana di Genova
Genova, 23 gennaio 2019