In campagna elettorale si è parlato molto di previdenza, questione che riguarda tutti: chi è già in pensione, chi non riesce ad andarci ad una età decente, chi, tra i più giovani, pensa che non riuscirà ad andarci mai.
La manovra economica di fine 2011 ha sottratto dalle pensioni una quota rilevante di risorse, per trasferirle al bilancio dello Stato, scaricando il grande peso di quella operazione chiamata “salva Italia” sui tanti (e tante) lavoratrici e lavoratori che si sono visti allontanare il traguardo della pensione e sui pensionati, con il blocco dell’adeguamento annuale al costo della vita delle pensioni superiori ai 1500 euro lordi.
Si sono così prodotte ingiustizie e reso il sistema pensionistico più rigido ed iniquo; senza destinare un solo euro per le pensioni delle future generazioni. Non c’è dubbio che la recente campagna elettorale, ha generato notevoli promesse, tra queste, “l’abolizione della legge Fornero”. Occorre essere chiari in proposito: il sistema previdenziale ha bisogno di correzioni forti, per essere più giusto e più sostenibile.
In questi ultimi anni, grazie all’azione del sindacato confederale, quel sistema è già stato messo in discussione, con alcune prime correzioni, per “ridurre i danni”. A fine 2016 il sindacato ottenne per i pensionati con le pensioni più basse, tre risultati significativi: l’aumento dell’importo della “quattordicesima” per chi già la riceveva e una estensione della platea di coloro che l’avrebbero ricevuta; l’innalzamento della soglia di reddito sotto la quale i pensionati non pagano tasse (niente Irpef per chi ha una pensione che non supera 8.125 euro, anche se ha meno di 75 anni: per gli over 75 era già così dall’anno precedente); il ritorno, a partire dal 2019, al vecchio meccanismo “pre Fornero” di aumento annuale al costo vita.
Inoltre, era previsto anche l’impegno a concordare, dal 2019, un diverso meccanismo per la rivalutazione delle pensioni, maggiormente vicino ai consumi dei pensionati e la possibilità di recuperare il “danno permanente”, provocato dagli anni di blocco delle pensioni. Una operazione che, per responsabilità dell’ultimo Governo, è stata bloccata a metà. Il sindacato, quindi, è in credito perché non si è voluto dare seguito alla cosiddetta “fase 2” del verbale sottoscritto dal Governo nel settembre 2016, quella che avrebbe dovuto realizzare ulteriori interventi di riforma del sistema per renderlo più equo e anche per tutelare meglio il valore delle pensioni. Confermiamo, quindi, queste richieste ai partiti che oggi si candidano a governare.
I sindacati dei pensionati sanno bene che devono essere trovate risorse economiche, soprattutto per consentire una maggiore flessibilità dell’età pensionabile e per costruire una pensione di garanzia per i futuri pensionati, ora giovani e spesso precari.
Ma anche per il reddito dei pensionati che, in questi anni, hanno pagato un prezzo rilavante con la riduzione della rivalutazione annuale delle pensioni superiori a tre volte il minimo (che, per i soli anni 2017 e 2018, ha determinato una ulteriore perdita complessiva, di oltre un miliardo di euro). Le pensioni sono reddito che genera consumi e domanda interna, preziosa per il rilancio dell’economia: i circa 270 mila pensionati della provincia di Genova mettono in circolazione circa 5 miliardi e mezzo di euro all’anno. Il nuovo Governo dovrà trovare i soldi sufficienti per l’insieme dei correttivi che i sindacati rivendicano. Ci vogliono risorse vere. Da dove saranno prese? A questo proposito, dopo aver ascoltato le proposte avanzate in campagna elettorale, abbiamo una preoccupazione fondata, ovvero che si facciano i conti in modo un po’ approssimativo, o peggio ancora.
In campagna elettorale, il Movimento 5 Stelle, oggi primo partito uscito dalle elezioni, aveva dichiarato di voler recuperare 12 miliardi dalle cosiddette pensioni d’oro; per farlo dovrebbero azzerare tutte le pensioni al di sopra dei 5.500 euro lordi mensili, oppure andare a ridurre le pensioni più basse che di “dorato” non hanno proprio nulla (perché stiamo parliamo di ex impiegati ed ex operai). Una ipotesi, quest’ultima, alla quale il sindacato pensionati dice no, perché i pensionati hanno già abbondantemente pagato. Si guardi piuttosto da un’altra parte: si aggredisca seriamente, con più determinazione, l’enorme montagna dell’evasione e della elusione fiscale nel nostro paese, su cui, peraltro, in campagna elettorale abbiamo registrato un “silenzio assordante”.
Bruno Sciaccaluga
Segretario Generale
Spi Cgil Liguria
(intervista rilasciata a “Repubblica” e pubblicata sul quotidiano in data odierna)