Un documento curato dalla Fp e dalla Cgil nazionale svela le false verità che sono state usate per sostenere le scelte del governo Draghi e attaccare lo sciopero generale. “Hanno torturato i dati, ma lavoratori e pensionati capiranno l’inganno”.
Tra le tante notizie più o meno false che sono circolate in questi giorni emerge una verità incontrovertibile: la riforma dell’Irpef, anche analizzata assieme alle altre misure a essa correlate (decontribuzione temporanea nel solo 2022 e assegno unico per figli fino ai 21 anni), resta prevalentemente regressiva. Si persevera così nella politica di dare di più a chi ha di più e meno a chi ha di meno. Lo sostiene un’analisi sulle recenti misure fiscali varate dal governo Draghi curata dalla Funzione Pubblica Cgil e dalla Cgil nazionale. Nello studio (che pubblichiamo in allegato) vengono sbugiardate le varie fake news che sono state usate in particolar modo per attaccare lo sciopero generale di Cgil e Uil contro la manovra. Vediamo quali sono i punti più controversi e qual è la vera natura della riforma fiscale 2021-2022.
Il trattamento integrativo (bonus 100 euro) non si cumula
Secondo i vari commenti dei principali quotidiani nazionali, l’ex “Bonus Renzi” da 80 euro, beneficio poi esteso a 100 euro (riforma Gualtieri) e ora la revisione delle aliquote Irpef e delle detrazioni porterebbero a una “una curva di benefici che ha un picco nei redditi più bassi, intorno ai 15 mila euro, e che si trasforma in un vantaggio di portafoglio di circa 1.500 euro, per poi andare via via a calare”. Tale rappresentazione non solo è strumentale a una posizione filogovernativa, ma è anche metodologicamente errata. I benefici della riforma Renzi e Gualtieri non si cumulano infatti con l’attuale riforma, ma il bonus netto di 100 euro per redditi fino a 28 mila euro, da gennaio 2022 sarà fruito solo dai redditi inferiori ai 15.000 e il nuovo sistema di aliquote e detrazioni si limiterà a inglobare, per i redditi da 15.000 a 28.000, il vecchio importo integrativo. Di conseguenza, i benefici antecedenti non verrebbero oggi a sommarsi con l’attuale riforma.
Il governo Draghi sceglie le classi medio alte
Seconda evidenza. Prima della crisi economica dovuta alla pandemia i benefici delle nuove misure fiscali si concentravano sui dipendenti con redditi medio-bassi. Il governo Draghi ha scelto di beneficiare le classi medio alte proprio in un periodo in cui abbiamo visto crescere le disuguaglianze nel nostro Paese. Infatti: come si può paragonare la riforma del 2014 con quella del 2022, quando fra l’una e l’altra vi è stata una pandemia globale e una recessione senza precedenti che ha acuito le disuguaglianze e gettato parte della popolazione in uno stato di precarietà, povertà e forte deprivazione? In considerazione di ciò, il contesto attuale avrebbe richiesto un intervento sulle fasce meno abbienti e più in difficoltà, anziché dedicare risorse pubbliche a dare di più a chi già riceve di più.
L’attuale riforma premia le fasce di reddito superiori ai 40.000 euro, dedicando alle altre benefici irrisori in termini assoluti e relativi. Ma dopo il varo delle misure in diversi articoli sono apparsi calcoli sui benefici dell’attuale riforma su famiglie mono o bireddito con o senza figli. In molti commenti apparsi sui principali media nazionali, ci si è riferiti alle modifiche Irpef, sommandole agli effetti della decontribuzione (che varrebbe per il solo 2022), e del nuovo Assegno Unico Universale (per i figli fino a 21 anni di età, che sostituisce l’assegno al nucleo familiare e le detrazioni per figli) in termini poco corretti e intellettualmente disonesti.
Due stratagemmi di propaganda
La maggior parte delle analisi e delle critiche allo sciopero di Cgil e Uil si sono affannate a dimostrare che il sindacato ha sbagliato perché in fondo i redditi medi e bassi ricevono benefici maggiori rispetto ai redditi più elevati. Ma queste posizioni si sono basate su due “stratagemmi” che si possono facilmente contestare. In primo luogo molto spesso l’incidenza del beneficio viene mostrata rispetto al reddito lordo della famiglia, mentre quello che conta per una famiglia è la quota del proprio reddito disponibile (netto) che avrà in più grazie alle riforme del governo. Mostrare l’incidenza percentuale fa sembrare percentualmente più alti i benefici per le classi più basse rispetto alle classi più alte, ma ciò che migliora effettivamente il tenore di vita di una famiglia è l’incremento in termini assoluti, in euro, non certo in percentuale rispetto al reddito passato.
L’altro stratagemma comunicativo che va contestato riguarda il fatto che l’incidenza reale della riforma del fisco si deve desumere anche dal numero di famiglie coinvolte all’interno di ciascuna fascia di reddito. Per capire i reali effetti distributivi delle riforme, bisogna rispondere alla seguente domanda: quanti sono i contribuenti che dichiarano un salario pari o minore a 35.000 euro (ovvero i contribuenti che vedranno vantaggi unitariamente più scarsi in numeri assoluti)? Quanti sono i contribuenti che invece hanno un reddito superiore? La risposta, come abbiamo già avuto modo di comunicare nella nostra mobilitazione, è che l’85% dei lavoratori e pensionati ha un reddito che si colloca sotto tale soglia. L’effetto distributivo è quindi concentrato sulle fasce più alte, ma pare che la gran parte dei i media nazionali oltre che il governo non hanno preso in considerazione questa semplice analisi della distribuzione dei contribuenti.
Le scoperte dell’Ufficio di bilancio del Parlamento
L’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha recentemente fatto luce sulla distribuzione degli effetti della riforma Irpef, i quali sono particolarmente bassi per il 20% più povero della popolazione. Questa dinamica rischia d’inasprire le disuguaglianze che saranno solo parzialmente attenuate, e per le sole famiglie con figli (e neanche tutte, specie nelle famiglie di lavoratori) da un assegno unico che mostra, comunque, generoso criticità maggiori rispetto alle aspettative, soprattutto per quanto riguarda la temporaneità della clausola di salvaguardia per i nuclei che con l’introduzione della nuova prestazione andranno a percepire meno di quanto hanno percepito nel 2021. In uno scenario di gravissima crisi economica, con una pandemia che non accenna ad allentare la sua morsa sul tessuto sociale del Paese, ci si sarebbe aspettata una riforma del fisco coraggiosa, attenta alle fasce più vulnerabili della popolazione e progressiva, dove chi ha di più contribuisce in misura maggiore e chi ha di meno riceve in misura maggiore. Ma la verità è che questo intervento non è una riforma, né il primo passo di una riforma. Dobbiamo registrare che il governo ha sprecato l’opportunità d’investire su una seria riforma del Fisco dando tanto a chi ha già tanto e poche briciole a chi stenta ad arrivare a fine mese.
“Il nostro giudizio rimane negativo”
“L’intervento che il governo ha operato sull’Irpef in questa Legge di Bilancio risente soprattutto dell’assenza di un confronto vero con le parti sociali – commenta Cristian Perniciano, responsabile delle politiche fiscali della Cgil nazionale – È inoltre mancato il coraggio di muovere i primi passi verso una riforma del sistema fiscale. La verità è che le posizioni all’interno della maggioranza sono talmente eterogenee, vanno dalla “formula tedesca” alla flat tax, da rendere un accordo per la riforma complessiva davvero complicato”.
Per quanto riguarda il merito, spiega Perninciano “ci si è quindi limitati a fare un intervento di riduzione della pressione Irpef, a vantaggio soprattutto dei redditi più elevati, e questa è una evidenza dimostrabile con semplici conti che valutino l’impatto in termini assoluti, sul reddito netto, in euro, in tasca ai diversi contribuenti a seconda del reddito. Tutte le altre elaborazioni di questi giorni sono una dimostrazione di quella citazione di Darrell Huff secondo cui “Se torturi i dati abbastanza, confesseranno ciò che vuoi”.
Lavoratori e pensionati capiranno l’inganno
Perniciano è ottimista sulla capacità di lettura dei destinatari della “riforma” sulla reale natura degli interventi messi in campo. “Contiamo tuttavia sul fatto che lavoratori e pensionati sapranno farsi i conti in tasca e daranno un giudizio affatto ideologico su questo intervento – dice Perniciano – È vero che nel maxiemendamento sono stati inseriti alcuni correttivi, ma sono insufficienti e soprattutto ini gran parte temporanei, validi per il solo 2022. Stupisce ancora come alcune forze politiche di maggioranza abbiano fatto rimangiare al Presidente del Consiglio la proposta del contributo di solidarietà sui redditi alti, soprattutto perché non prevedeva alcun incremento di pressione fiscale e si limitava invece a procrastinare di un anno uno sconto Irpef oltre i 75.000 euro annui, vantaggio che continuiamo a ritenere incomprensibile in questa fase in cui la Cgil, anzi, crede sarebbe stato necessario inserire una ulteriore aliquota, maggiore del 43%, per i redditi elevati. Il nostro giudizio su questo intervento, quindi, permane negativo, e sicuramente nel corso del nuovo anno continueremo a chiedere una riforma complessiva del prelievo fiscale, perché sia incentrato sulla progressività, l’equità, contribuisca a incrementare la domanda, favorisca il lavoro e la transizione ecologica, accompagni gli investimenti del Pnrr.”
da Collettiva.it del 31-12-2021