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In Liguria le donne sono più istruite degli uomini ma guadagnano meno, hanno carriere discontinue, un maggiore ricorso ai trattamenti di disoccupazione e quindi pensioni più basse. È un quadro che purtroppo si rinnova ogni anno e che è ancora lontano dall’essere risolto. Per Cgil Genova e Liguria è necessaria una rivoluzione culturale trasversale alla società che deve trovare il sostegno di risorse economiche senza le quali sarà difficile eliminare le disparità di genere tra uomini e donne.
Quella delle differenze di genere è una condizione che pesa sulle donne che peraltro, in questa perenne incertezza, spesso non hanno vie di uscita a condizioni di violenza e abusi. L’incertezza economica, soprattutto quando si è madre, insieme alla mancanza di politiche sociali di genere, è il contesto nel quale la donna è costretta a dover restare. La disparità di genere si riscontra già nel titolo di studio e si conferma nel lavoro: la statistica infatti ci ricorda come rispetto al titolo di studio le donne hanno un’incidenza della laurea molto superiore alla media (33,4% verso il 20,4% dei maschi). A fronte di ciò, i dati Istat elaborati dal responsabile dell’Ufficio Economico Cgil Genova e Liguria indicano un tasso di occupazione femminile molto più basso rispetto agli uomini: in Liguria nel 2023 era pari al 60,1%, rispetto al 74,8% dei maschi (ISTAT) con un divario di genere di oltre 14 punti percentuali. Anche l’instabilità occupazionale è donna: le assunzioni in Liguria nei primi tre trimestri del 2024 sono state solo per il 43% destinate alle donne, solo il 10,1% viene assunta a tempo indeterminato a fronte del 12,8% degli uomini e quasi una su due (49%) con un contratto a tempo parziale (uno su quattro per gli uomini). Questa condizione si riflette sulle retribuzioni: la differenza tra maschi e femmine è di quasi 10 mila euro (-9.370,38 euro), cifra che si ricava dalla differenza tra media retributiva di una dipendente del settore privato (17.995,70 euro) rispetto a quella di un lavoratore dipendente (27.366,08 euro). Analoga sorte sotto l’aspetto pensionistico: lavorare meno degli uomini, con paghe più basse e con carriere discontinue dovute spesso al lavoro di cura (bambini e anziani) o a periodi più frequenti di disoccupazione (il 55% dei beneficiari della NASPI è una donna), si riflette sulle pensioni: nel 2024 gli importi medi mensili liquidati alle donne nel 55% dei casi rimangono sotto i 1.000 euro, mentre le pensioni liquidate ai maschi – una su quattro – era superiore ai 2.000 euro (INPS).

Per questo è importante che proprio le donne votino convintamente ai referendum di questa primavera, che pongono limiti alla precarietà, ai licenziamenti discriminatori, ai meccanismi che mettono a rischio la sicurezza sul lavoro, e che chiedono di riconoscere il diritto alla cittadinanza a migliaia di donne che vivono, studiano e lavorano nel nostro Paese.

I dati Nazionali riportati dal rendiconto di genere 2024 dell’Inps non fanno che confermare l’enorme gender gap presente nel nostro Paese ed il persistente ampio divario con l’Europa: nel terzo trimestre 2024 il tasso di occupazione femminile risulta inferiore di 12,6 punti alla media Ue e alla Francia, e 20 alla Germania, rimanendo il valore più basso tra i ventisette paesi dell’Unione europea e molto distante dalla maggior parte dei paesi europei.

Le motivazioni di tale primato negativo, vanno ricercate principalmente nel persistere di logiche patriarcali, che sono tanto radicate da essersi fatte ambiente e, in quanto tali, non si vedono e non si percepiscono, anche se colpiscono in maniera pesante e negativa le donne. In questo quadro, le politiche economiche liberiste di destra non fanno che aggravare la situazione, tentando di relegare le donne nel ruolo di fattrici ed angeli del focolare, negando e addirittura combattendo, ogni modello diverso dal rapporto uomo e donna, o meglio, marito e moglie.

In questa logica si spiega il fatto che le donne, nonostante raggiungano livelli d’istruzione percentualmente più alti degli uomini e con rendimenti maggiori, non trovino poi corrispondente soddisfazione nel mondo del lavoro, dove la precarietà per loro la fa da padrona. Ed è per questo motivo che i cinque quesiti referendari che abbiamo promosso con caparbietà e grande impiego di risorse ed energia, hanno come obiettivo quello di combattere la precarietà, rendere più sicuro il lavoro e promuovere politiche d’integrazione per tutti, diventano ancora più urgenti per le donne, che subiscono in maniera massiccia le ricadute negative di un mercato del lavoro sempre più parco di norme finalizzate alla stabilità ed alla sicurezza sociale. In questo contesto la CGIL tutta e non ultima quella ligure, organizzeranno momenti di confronto al femminile per recuperare un dialogo di genere quanto mai indispensabile.

Cgil  Genova e Liguria