Il settore del credito è attraversato da una rivoluzione informatica, la più potente di sempre. La digitalizzazione sta già cambiando il lavoro e la vita di tutti.
Gli utenti e gli stessi lavoratori del credito rincorreranno a ritmi sempre più crescenti questo cambiamento.
Dal lato del lavoro, possiamo segnalare nuove modalità organizzative, richieste di flessibilità crescenti, competenze del tutto nuove, turn over generazionali pressanti.
Dal lato degli utenti, assistiamo alla stessa richiesta di digitale che le vecchie generazioni non sono in grado di affrontare. Da qui l’abbandono graduale dei territori da parte delle banche, attraverso la chiusura degli sportelli.
La chiamano ‘desertificazione’, ma alla stregua di quella climatica, non ha niente di ineluttabile e naturale: è frutto di scelte economiche precise.
In Italia sono stati chiusi negli ultimi cinque anni un quarto delle filiali bancarie.
Le persone che abitano borghi o periferie non sono più in grado di raggiungere agevolmente una filiale o un bancomat.
Pensiamo agli anziani o ai disabili o a tutte quelle persone che non possono adeguarsi alla trasformazione digitale e che, ciononostante, hanno diritto di prelevare o avere consulenza.
I grandi gruppi bancari non sembrano preoccuparsi di venire meno al compito, che la Costituzione assegna loro, di tutelare il risparmio, a cominciare dai bisogni primari.
Durante la pandemia gli sportelli bancari sono rimasti aperti, quando il resto chiudeva, per il semplice motivo che la consulenza e la prossimità ai cittadini rappresentano un servizio pubblico garantito per legge.
Di fronte ai dilemmi che la rivoluzione digitale sta ponendo e di fronte alla concreta possibilità di abbandonare i cittadini, la politica dovrebbe dialogare con le banche per trovare soluzioni nei propri territori, senza lasciare che il deserto avanzi, indisturbato e non visto.
Pensiamo a convenzioni tra i comuni, le banche e le associazioni dei territori per assicurare alle popolazioni dell’entroterra la possibilità di un prelievo o di una consulenza.
E poi ci sono questioni che riguardano la costruzione delle nuove professionalità creditizie. Chi saranno i futuri bancari? Come si affronta nel territorio la nuova richiesta di competenze digitali?
Che ruolo hanno le scuole superiori e le università locali nella grande scommessa dell’intelligenza artificiale? E’ in atto un ricambio generazionale potente, ma non ugualmente distribuito.
Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna coprono la metà degli addetti italiani. La Liguria ha pagato in termini occupazionale un prezzo scandaloso, il peggiore in Italia.
Ha perso negli gli ultimi cinque anni una percentuale che si avvicina al 40% dei bancari. Il disimpegno dei gruppi bancari nella nostra regione significa quindi disimpegno nei confronti della sua economia? Sarà obbligatorio rispondere a questa domanda nel momento in cui i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono in fase di attuazione.
Strettamente legato alla questione delle professionalità, il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di lavoro con una forte richiesta economica, per un settore che ha macinato utili col vento in poppa della recente politica monetaria della BCE. Un rinnovo dove la parte economica si intreccia alla qualità del lavoro e che in parte risponderebbe alle sollecitazioni dell’OCSE che bacchetta il nostro Paese proprio sulla regressione salariale. Un vento che nell’intento scolastico di abbattere l’inflazione ha colpito le famiglie e reso insostenibile la programmazione di un mutuo o un prestito, come ha reso più complessa la capacità d’investimento da parte delle medie e piccole imprese.
Un cane che si morde la coda, se avesse ragione chi sostiene che questi picchi inflattivi siano la conseguenza di dinamiche speculative, seguite alla pandemia e alla guerra, e che il rialzo dei tassi di interesse, da parte dei regolatori, non centra l’obiettivo.
Anzi: finisce per allargare la forchetta delle disuguaglianze.
Laura Terruso
Segretaria Generale Fisac Cgil Liguria