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Tutte le guerre hanno conseguenze terribili sulle popolazioni, su civili inermi, su donne, giovani e bambini, strappati alla vita da un modello di gestione dei conflitti che vede nella violenza e nella sopraffazione l’unica via possibile. Conflitti in cui il corpo delle donne diventa un bersaglio e lo stupro un’arma utilizzata per distruggere le comunità e il senso di identità di un popolo.

In queste ore, i fatti drammatici di Israele e Palestina che ripercorrono decenni di guerra dimenticata, la terribile e intollerabile aggressione di Hamas e la violenta e atroce reazione di Israele, mostrano un orrore senza fine che condanniamo fermamente.

La cultura maschilista e improntata alla sopraffazione dell’altr*, che organizza e divide il mondo in due fazioni, chi ha il potere e chi lo subisce, che non persegue il rispetto e il riconoscimento dell’altrə ma il dominio, il possesso e l’annichilimento, è la stessa cultura alla base degli stupri, dei femminicidi, delle molestie, della privazione della libertà di autodeterminazione delle donne. Molte donne la conoscono bene perché da sempre oppresse da un potere che le emargina dalla vita pubblica, e le usa per il profitto attraverso l’oggettivazione del corpo. Alcune donne conoscono bene il nesso profondo che c’è tra patriarcato, estremismi, sopraffazione e violenza.

Lo vediamo in Afghanistan, dove appena ripreso il potere, i Talebani hanno riportato le donne dentro le case, lontane dalle scuole, sotto veli/armature che non ne mostrino i corpi.

Lo vediamo in Iran, dove la strage delle giovani che si ribellano alle imposizioni misogine del potere islamico non si arresta.

In Ucraina, dove le madri rimaste sole ad occuparsi di figli e parenti anziani, sfidano ogni giorno la guerra per cercare risorse per le proprie famiglie.

Nei traffici orrendi di esseri umani, tra i sud e i nord del mondo, segnati da stupri, violenze e schiavitù delle giovani donne.

Lo abbiamo visto nei rapimenti e nelle violenze del 7 ottobre e negli sguardi disperati delle madri a Gaza.

Lo vediamo nell’assenza assordante delle donne nei tavoli dei negoziati per la pace: donne che solo tra il 2005 e il 2020 sono state escluse dall’80% degli stessi.

Lo vediamo nel nostro Paese apparentemente tranquillo dove senza sosta si registrano molestie sui luoghi di lavoro, violenze fisiche e psichiche nelle case, stupri, femminicidi.

Ed è per questo che ogni giorno, dentro e fuori dal sindacato, in rete con le altre organizzazioni e associazioni, siamo impegnate a promuovere con parole e fatti concreti, una cultura alternativa a quella violenta del patriarcato. Una cultura della solidarietà, del rispetto delle vite e delle differenze, una nuova cultura della cura: cura del mondo, dell’ambiente, delle persone e dei loro diritti. Cura dell’oggi e del domani. Una cultura alternativa a quella violenta e patriarcale che non nega il conflitto ma lo affronta e gestisce senza la sopraffazione, come spiegano bene le parole di Lidia Menapace che condividiamo e nelle quali ci riconosciamo: “Nella storia dei movimenti di lotta vi sono altre forme: il movimento sindacale e operaio elaborò e usò nella sua lunga vicenda tutte le forme dell’azione nonviolenta con assemblee, petizioni, scioperi manifestazioni pacifiche, picchetti e infine sabotaggi. Il movimento femminista fin dai tempi delle suffragiste ha trovato altri strumenti ancora per mostrare dissenso e contrasto e agire il conflitto: manifestazioni, grafica, sit-in, musica, resistenza passiva, training autogeno, danza, sarcasmo, canti, visibilità dei corpi nella loro varietà inerme, tutto il molteplice possibile, niente di uniforme o in uniforme”.

Rivendichiamo l’applicazione concreta della Risoluzione 1325/2020 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu su donne, pace e sicurezza e dunque il nostro coinvolgimento diretto per la prevenzione e la risoluzione dei conflitti e nei processi di pace.

Per tutte queste ragioni, noi donne della CGIL, oggi come ieri, rifiutando in ogni sua espressione l’inciviltà della guerra, intendiamo agire in tutte le forme possibili perché tacciano le armi e per rivendicare una nuova cultura di pace, rispetto e sorellanza tra le persone e i popoli, per la costruzione di una rete tra le donne affinché la nostra presenza sia garantita e integrata nei processi di governo, pace e sviluppo. Chiediamo l’immediato cessate il fuoco in Palestina, in Israele, in Ucraina, in Mozambico, in Azerbaigian e in tutti i territori, troppo spesso dimenticati, in cui si continuano ad usare guerra e violenza per la risoluzione dei conflitti.

Come ha ribadito Leymah Gbowee, premio Nobel per la pace: “Lavorare per la pace e la sicurezza globali senza le donne è cercare di vedere l’intero quadro con un occhio coperto”

Articolo di Cgil.it