Quando s’invoca il “Modello Genova”, siamo sicuri che tutti parlino della stessa cosa?
Nei giorni scorsi abbiamo ascoltato fiumi di retorica sul valore del lavoro che avevano il solo obiettivo di non fermare i lavori sul Polcevera in quello che è stato ribattezzato il cantiere simbolo della riscossa dell’Italia.
Siamo tutti assolutamente convinti che la ricostruzione del Ponte sia una priorità per la Liguria e per l’intero paese.
Siamo molto meno sicuri che ci sia un modello Genova da esportare a tutte le grandi opere.
Di certo per ripartire l’Italia ha bisogno di una forte iniezione d’investimenti pubblici.
Le infrastrutture sono il motore dello sviluppo e i tempi lunghi dei nostri cantieri non sono degni di un paese civile.
Per questo si è tutti d’accordo nello snellire le procedure, ma questo non può diventare un alibi per derogare al sistema di regole peraltro già pesantemente manomesso dal nuovo codice degli appalti.
Se qualcuno pensa che per fare prima occorra lasciare mani libere al supercommissario, generalizzando la pratica del massimo ribasso e liberalizzando il subappalto, la Cgil non è d’accordo.
Non fosse altro perché di emergenza in emergenza rischiamo di sacrificare un’emergenza ancora più grande ovvero quella della sicurezza, con il triste primato che ben conosciamo delle morti sul lavoro.
Nel caso specifico del Ponte, ci saremmo aspettati maggiore attenzione della politica al tema della salute, perché quello è un cantiere di trasfertisti, e di fronte ai quotidiani appelli a restare a casa per contenere la propagazione del virus, ragioni di opportunità avrebbero consigliato di rallentare i lavori. Dove non è arrivato il buon senso, ci ha pensato il virus, con tanto di contagiati e lavoratori in quarantena.
Quindi è giusto ringraziare i lavoratori, ma non facciamone, loro malgrado, degli eroi del cantiere che non si ferma mai ed evitiamo di utilizzarli come scudi sull’altare del modello Genova.
Qualcuno può davvero pensare che quanto successo dopo un avvenimento tanto drammatico quanto eccezionale come il crollo del Ponte Morandi sia replicabile?
Perché modello Genova vuol dire un Commissario che affida la realizzazione dell’opera senza gara. Vuol dire affidare la progettazione a chi è stato scelto senza procedura di evidenza pubblica. Vuol dire svuotare le stazioni appaltanti e abdicare al ruolo di controllo delle amministrazioni pubbliche, arrendendosi alle scelte di disinvestimento maturate negli anni dell’austerity.
L’emergenza di una regione tagliata a metà, con il sistema portuale più importante d’Italia a rischio collasso, e l’attenzione dei media hanno permesso al cantiere del Ponte di disporre di tutte le risorse necessarie a garantire l’attività nel pieno rispetto della sicurezza.
Qualcuno può davvero pensare che quelle condizioni eccezionali siano ovunque replicabili?
Tifiamo tutti perché si possa tornare ad attraversare il Polcevera nel più breve tempo possibile, ma evitiamo di fare confusione invocando un modello Genova che nella versione iper liberista del Presidente della Regione non è, e non può essere, un modello accettabile.
Igor Magni e Federico Vesigna
rispettivamente Segretari Generali della Camera del Lavoro di Genova e della Cgil Liguria