A dieci anni dalla pubblicazione del lavoro di ricerca curato da Gabriella Canepa sulle “Nuove e vecchie povertà in Liguria”, il Sindacato Pensionati ligure, insieme ad Auser Liguria e Genova, presenta un nuovo approfondimento su questo tema così attuale.
Per ricostruire un quadro aggiornato della realtà ligure sono state inviate richieste di incontro a diverse Istituzioni, Centri, Associazioni. Non tutti gli interlocutori hanno risposto, anche se lo ha fatto una parte certamente significativa, permettendoci così di fornire una descrizione che riteniamo sufficientemente fedele della situazione presente nei diversi territori della regione.
Nel corso del decennio trascorso abbiamo assistito, da un lato, alla crescita della povertà assoluta e delle condizioni di grave deprivazione, e dall’altro lato all’impoverimento di strati di popolazione, che avevano precedentemente condizioni di reddito dignitose, che hanno perso il lavoro o ne hanno conservato uno più precario, e sono scesi “verso” la soglia di povertà: essi hanno comunque vissuto una regressione, oltre che nel livello di reddito e nella qualità della vita, nelle opportunità, nella possibilità di migliorare la condizione propria e quella dei propri figli. Un mutamento che è stato percepito pure come una regressione di “status”, ad esempio per molti professionisti.
Questa duplice realtà richiede che si intervenga sia con strumenti per sradicare la povertà assoluta (con sostegni al reddito e presa in carico da parte dei servizi sociali), sia con politiche per il lavoro e ammortizzatori sociali, con interventi nel sistema educativo e formativo, con il sostegno all’esercizio della responsabilità familiari, per le donne e non solo. Un insieme di azioni e di politiche per le quali in questi anni si sono registrati avanzamenti e battute d’arresto, progressi e contraddizioni.
Siamo partiti dai dati nazionali e regionali e abbiamo raccolto le testimonianze di chi in Liguria si occupa della povertà, o meglio “dei poveri” e della loro concreta condizione, sia nei servizi pubblici, sia nella vasta rete di associazioni e del privato sociale.
Ne sono emersi non soli i numeri ma anche i “volti” delle persone che vivono povertà “antiche”, comprese le povertà estreme, figlie del presente e del passato, o l’impoverimento determinato dalla crisi. La mancanza di lavoro e di reti familiari capaci di aiutare a superare gli ostacoli, i costi della casa e la difficoltà ad averne una adeguata, il non poter garantire ai propri figli un percorso scolastico all’altezza delle loro potenzialità, tutto questo riguarda sia la povertà assoluta, sia le situazioni di impoverimento che coinvolgono quelle che in passato si potevano definire, con termine che non ha più il significato di un tempo, le “classi medie”.
Sradicare la povertà assoluta, o in ogni caso garantire condizioni dignitose, con sostegni al reddito e altri aiuti da parte dei servizi sociali; politiche per il lavoro e ammortizzatori sociali; diritto allo studio; sostegno all’esercizio della responsabilità di essere genitori: sono tutte azioni che un sistema pubblico di welfare deve garantire, anche in collaborazione con le organizzazioni del volontariato e del “privato sociale”.
Dalla ricerca realizzata si è cercato di ricavare qualche traccia utile per rafforzare l’azione sindacale, anche a livello regionale, verso le istituzioni e verso il sistema delle imprese; suggerimenti che sono a disposizione delle strutture sindacali, ai diversi livelli, cui spetta l’elaborazione di piattaforme e la promozione di vertenze che si pongano l’obiettivo di affrontare le cause dei problemi, e di individuare delle soluzioni praticabili, dettate dal realismo, ma sostenute dalla radicalità della scelta di contrastare le diseguaglianze e le ingiustizie sociali. A ciascuno deve essere data la possibilità di “arrivare”, e non solo di avere uguali punti di partenza.