Il Segretario generale della Camera del Lavoro di Genova ricorda la divisione partigiana “Cichero” nel 79esimo anniversario della loro fucilazione
Care compagne, cari compagni, care amiche e cari amici, autorità,
oggi siamo qui per ricordare cosa accadde in questi luoghi nel luglio del 1944,
per esercitare un dovere e per garantire un diritto. Inizio dal ricordo dovuto a
chi, per un paese libero e democratico, ha deciso di mettere a repentaglio la
propria esistenza. In secondo luogo credo sia altrettanto doveroso
trasmettere la memoria in una sorta di staffetta generazionale. Penso
soprattutto ai più giovani e a chi verrà che ha il diritto di sapere come sono
nate le radici della nostra Democrazia e di come si è formata e che il diritto di
conoscere la storia recente del nostro passato e prendere coscienza che la
libertà non nasce con la persona, ma spesso la si deve conquistare, e che in
molti paesi del mondo ancora oggi è negata.
Ma oggi siamo qui anche per un terzo motivo non meno importante. Siamo
qui perché qualcuno vorrebbe riscrivere la storia, annacquando fatti e
biografie, cercando di mettere sullo stesso piano vittime e carnefici. I più
deboli vengono additati come destabilizzatori, vedi i migranti che invadono il
nostro paese e ci portano via lavoro e ricchezza, i fruitori del reddito di
cittadinanza che sono tutti “furbetti”, come se 5 milioni di poveri non ci fossero
veramente nel nostro paese oppure le eresie delle richieste delle famiglie
arcobaleno o l’”ostentazione” del proprio orientamento sessuale, tutte realtà
che mettono in discussione l’ordine costituito.
Noi non permetteremo che i diritti delle persone vengano calpestati e non
permetteremo di cancellare il ricordo di quello che è stato.
A qualcuno la fermezza delle nostre posizioni dà talmente fastidio che questo
fatto ci ha portato ad essere identificati come “obiettivo”. Lo siamo stati il 9
ottobre 2021 quando un attacco squadrista ha colpito la sede nazionale della
Cgil riportando il Paese indietro di tanti anni quando negli anni venti le sedi
del sindacato erano prese d’assalto dai fascisti, distrutte e saccheggiate.
Sono passati cento anni, ma le dinamiche di prevaricazione, odio e violenza
sono le stesse.
Il mondo del lavoro, il suo agire democratico, basato sui principi sanciti nella
Carta Costituzionale nata dalla Resistenza, danno fastidio.
Ma attenzione: quando si prendono di mira le sedi sindacali, si compie uno
sfregio non solo all’organizzazione in sé, ma a tutto il mondo del lavoro e ai
suoi diritti; e alla democrazia.
Oggi come allora, le destre cavalcano il malcontento, si ergono a paladine dei
diritti. Ecco perché è importante ricordare.
Oggi siamo qui per ricordare cosa accadde in questi luoghi che furono scelti
per la loro posizione strategica ma anche per la favorevole accoglienza dei
suoi abitanti vicina ai valori antifascisti: a deciderlo furono uomini come
Bisagno, Lazagna, Bini e Furlini. Dal novembre ‘43 in poi sempre più uomini
decisero di aggiungersi alla banda – che dal nucleo originali ebbe diverse
trasformazioni per essere prima brigata e poi divisione – per raggiungere le
montagne. Questa intensa attività non sfuggì ai fascisti che aiutati dai
tedeschi organizzarono la rappresaglia nella quale vennero catturati e uccisi:
Giancarlo Antonioni, Salvatore Daverio, Serafino Pinna, Giuseppe
Giacometti, Carlo Parodi, Vinicio Ventisetti e un ragazzo del quale si ignorano
le generalità. Il 16 luglio del ’44 vennero portati in località Gnorecco e dopo
essere stati costretti a scavarsi la fossa furono fucilati. Ma la ferocia nazi
fascista non si fermò e anche la popolazione, colpevole di stare dalla parte
dei partigiani, venne colpita. Il giorno dopo le case di Cichero vennero
razziate e date alle fiamme.
La Cichero, che assunse questo nome proprio dopo la tragedia, per le sue
azioni e i suoi meriti durante la Resistenza, fu tra le più attive e importanti
formazioni partigiane. Nella Cichero erano rappresentate molte anime, la
cattolica, la comunista e altre. Chi ne faceva parte aveva convinzioni ed ideali profondamente diversi, arrivava da storie diverse ma li accomunava la
volontà di liberare il nostro Paese dall’oppressione, dalla violenza, dalla
dittatura, erano uniti per il bene comune e rispettavano la libertà degli altri,
avevano deciso di mettere in disparte gli interessi individuali per quelli
collettivi. Volevano un mondo migliore, libero dalla dittatura e dalle violenze e
solo unendosi e sommando le diversità – e con grande coraggio – hanno
potuto portare a compimento quella che sembrava una impresa disperata.
Chi allora ha deciso di imbracciare un’arma per aderire alla lotta partigiana
conosceva la guerra, conosceva lo scempio da essa generato, le privazioni,
la barbarie, ma non si è tirato indietro: non pensavano di essere eroi, ma lo
erano: erano uomini e donne spesso giovanissimi che hanno scelto da che
parte stare e hanno scelto di credere nella libertà, contro il fascismo e il
nazismo.
Oggi purtroppo assistiamo ad una operazione pericolosa che vorrebbe
gettare nell’oblio la lotta partigiana e la Liberazione, una manovra nemmeno
troppo mal celata che tenta di riscrivere interi capitoli della nostra storia
recente.
Non solo nel nostro Paese in verità.
Da più di un anno e mezzo si sta combattendo la guerra in Ucraina e anche
qui vediamo come parte di quel conflitto sia anche un fertile terreno di
propaganda.
Credo che oggi vada fatto molto di più contro le guerre – che sono ancora
troppe nel mondo e qualcuna dimenticata – e in particolare per la guerra in
Ucraina, avviata dalla colpevole scelta di violenta aggressione da parte della
Russia di Putin.
La posizione della Cgil è stata chiara sin da subito e siamo scesi in piazza più
volte per chiedere lo stop alla guerra e un serio impegno per un percorso di
pace; abbiamo chiesto che questo fosse l’obiettivo e la priorità dell’Europa: quando si vuole la pace si fa la pace e si lavora instancabilmente per essa,
non si armano gli eserciti, ma purtroppo non ci sono segnali positivi in questo
senso.
La guerra in Ucraina è una tragedia per quel popolo, ma ha conseguenze sul
resto dell’Europa e nel nostro Paese. Le pesanti ricadute sull’economia
ricadono su lavoratori e lavoratrici, su pensionate e pensionati e su chi un
lavoro non lo ha. Siamo usciti da una pandemia mondiale che ha provocato
milioni di morti, che ha lasciato strascichi pesantissimi negli animi, che ha
colpito pesantemente le economie. Il nostro paese era già stato investito da
crisi economiche alle quali oggi si sono aggiunte le conseguenze della
pandemia e appunto gli effetti della guerra.
Il nostro ruolo di sindacato è quello di rivendicare una condizione migliore per
lavoratori, disoccupati e pensionati che stanno affrontando una crisi
economica profonda, iniziata ben prima della guerra e ben prima della
pandemia. Dobbiamo porci alcuni obiettivi chiari per noi, ma non per questo
governo che fa orecchie da mercante. Lavoro, pensioni, sanità, fisco: sono
questioni che si tengono l’una l’altra e per le quali il Governo agisce in
maniera diametralmente opposta rispetto a quanto chiediamo. Le cronache
nazionali e locali continuano a rilanciare notizie positive sull’economia e
sull’occupazione, tralasciando che solo un contratto su cinque è stipulato a
tempo indeterminato mentre il resto del lavoro è precario. Non si trova
personale per la stagione estiva, i nostri ragazzi non hanno voglia di lavorare.
Quasi nessuno dice che spesso non viene data garanzia dell'applicazione dei
contratti di lavoro e che anzi si lavora anche e soprattutto in nero e in tanti
casi non viene assicurato un salario adeguato e scarseggiano i diritti. Del
resto la nostra regione non è certo virtuosa sul fronte delle ispezioni effettuate
sulle aziende: irregolarità contributive, fiscali, norme sulla sicurezza sul lavoro
Per tutte queste voci la Liguria è sopra alla media nazionale: con il 71,7 per
cento di irregolarità registrate, la Liguria supera di ben 5,1 punti la percentuale nazionale e sale sul podio delle prime classificate dopo Molise e Marche. Dico questo anche per rispondere agli imprenditori che si lamentano che non trovano personale.
I contratti si devono applicare e vanno rinnovati in tempi congrui sia nel
settore privato che in quello pubblico. A chi lavora non si possono chiedere
solo i doveri e dimenticarsi dei diritti, non funziona così! Qualche settimana fa
Cgil Cisl Uil hanno incontrato la Ministra Calderone sul tema della previdenza
ed è emerso chiaramente come il governo non abbia alcuna volontà di aprire
una trattativa sulla riforma delle pensioni. Noi naturalmente parteciperemo ai
prossimi incontri, ma deve essere chiaro che se l’esito di questo confronto
per il governo è qualche modifica che non va oltre il “contentino” noi non ci
fermeremo.
E infine il tema fiscale: non abbiamo bisogno di flat tax che per assurdo
premia chi i soldi li ha. Bisogna mettere nelle tasche dei lavoratori un
aumento salariale concreto che si può ottenere attraverso una fiscalità
diversa, agendo sul cuneo fiscale, e badate questo vale anche per i
pensionati. Nel nostro paese si evadano ogni anno poco meno di 200 miliardi
di euro. Avete idea di quante scuole, ospedali, sostegno agli indigenti o ai
non autosufficienti o investimenti sul lavoro e infrastrutture si potrebbero fare?
E invece non se ne parla. Ecco perché bisogna continuare ad impegnarsi, a
lottare perché questo paese diventi finalmente un paese migliore. Non ci
sono ricette precostituite o scorciatoie. Noi abbiamo già una strada tracciata
ed è dritta davanti a noi. Guardate è molto semplice. Basterebbe applicare
quanto contenuto nella nostra Costituzione. Basterebbe attuarla laddove
tratta dei principi di proporzionalità ed uguaglianza. Laddove si parla dei diritti
ma anche dei doveri, quella Carta che è tra le più belle del mondo. Quella
Costituzione che è nata dalla volontà comune di persone diverse, provenienti
da estrazioni differenti, da storie personali differenti, da convinzioni differenti, ma che avevano messo da parte l’io per il noi, proprio come hanno fatto i resistenti della Cichero.
Ecco a loro oggi va il nostro pensiero, il nostro ringraziamento, la nostra promessa di continuare a camminare nel solco che hanno tracciato.