L’interesse generale si è spostato da tempo sui vaccini, ad esempio su tempi e modalità di inoculazione che, come sappiamo, sono tutto fuorché certi. Ad oggi non siamo in grado di sapere infatti quando la popolazione sarà vaccinata, con quali regole o con quale prodotto, non ne conosciamo l’efficacia o la durata, non sappiamo quanti fra coloro che riceveranno l’uno o l’altro saranno protetti o meno. Non sappiamo ogni quanti mesi o anni dovremo ripeterlo, non ne conosciamo gli effetti collaterali e, quindi, eventuali rischi. Cautamente, molto sottotraccia, si sa che non protegge dal contagio (il Coronavirus), ma dalla malattia che lo stesso induce in tanti (il COVID 19) e di cui si muore. Rumors provenienti da contesti internazionali ci informano di reinfezioni a vaccinati, di ipotetica possibile inadeguatezza ad affrontare le varianti e le trasformazioni con cui il virus stesso si sta replicando.
Siamo bombardati da informazioni e chiacchere dall’inizio della pandemia, di addetti ai lavori con gran desiderio di apparire sui media e lasciare il segno, ben consci di dover sfruttare l’occasione, spesso attivando la chiacchera prima del cervello. Quindi la maggior parte delle informazioni sono semplici punti di vista non suffragati da alcuna valenza scientifica.
Questa è però una situazione oggettiva, nessun governo, nessuna autorità centrale può esimersi dal ricercare e procurarsi sul mercato del farmaco un prodotto ritenuto tendenzialmente valido ed efficace. Non può non farlo, deve offrire ai propri cittadini un vaccino, assolvendo al suo compito primario, nel caso italiano addirittura “costituzionale”.
Il farmaco non può che essere “quello che c’è” in circolazione, anzi in commercio. In tempi di pandemia tutti gli stakeholders non possono che essere frettolosi, con limiti dei quali solo loro conoscono i termini, modificando e fortemente abbreviando le regole di ingaggio che, di norma, portano a immettere sul mercato analoghi prodotti. Un profano non può che recepire le giustificazioni e farsene una ragione. Sperando nella buona sorte e facendo scongiuri nell’ascoltare vaghe giustificazioni parascientifiche del tipo: “si muore meno di reazioni allergiche al vaccino che di COVID-19”, affermazioni probabilmente vere ma non pienamente rassicuranti.
Se questo valesse realmente come esperienza per il futuro, varrebbe la pena di ricordare la procedura quando nuovi farmaci per contrastare altre malattie si affacceranno sul mercato miliardario BigPharma. I sofferenti di una malattia rara, l’esatto opposto quindi di una pandemia, saranno in grado di rivendicare procedure differenti per i loro farmaci salvavita o si sentiranno dire che i criteri non sono gli stessi? Chissà, certo che non avranno nuovamente grandi strumenti di pressione nei confronti dei decisori.
Ciò nonostante, altro non c’è e quindi il vaccino s’ha da fare, statisticamente dovrebbe impedire che ci si ammali. Bene. Ok. Lo faremo.
Ma anche se tutto, in questo momento, ruota attorno al vaccino qualunque sia, si dovrebbe tornare alle origini: il gioco vero consiste nel non contagiarsi e, come sappiamo, a ciò il vaccino non serve a nulla. Anzi, bello sarebbe rimarcare continuamente questo principio, il vaccino che verrà, tutti i vaccini che sono allo studio o già sul mercato non impediranno di essere contagiati o di essere contagiosi. L’idea peregrina di avere una patente da “cittadino vaccinato” può sdoganare voli pindarici di riduzione di distanziamento fra le persone o di inutilità dell’uso di dispositivi di protezione, può creare falsa sicurezza e incentivare la riduzione del sistema di tutele.
Anzi, in questo ambito, pur se con vergognosa lentezza, le indicazioni scientifiche stanno finalmente modificando i criteri del distanziamento e la tipologia di mascherine in uso. A ribadire quanto noi dal marzo scorso continuamente ed inutilmente denunciamo, negli ultimi mesi la posizione su tali problematiche coltivate da vari enti scientifici, politici o di categorie di addetti ai lavori si sono modificate.
In origine, a fronte del riconoscimento del naufragio in tutto il mondo dei piani anti-pandemia e della memoria corta che ha determinato scelte economiche disastrose dal punto di vista della organizzazione sanitaria pubblica, tutto il mondo si è trovato impreparato. Nessuno escluso. In attesa di ricerche di mercato, contratti e forniture adeguate, i Governi hanno dovuto sdoganare il principio che qualcosa, qualsiasi cosa protegga più di niente.
Sul mercato non c’erano mascherine efficaci, quelle poche erano oggetto di vergognose speculazioni e non necessariamente mafiose, ma anche delle farmacie sotto casa. In quel momento, in primavera ed a cavallo del primo lockdown, delle prime zone rosse, dello sgomento suscitato dalle immagini dei camion delle salme, vennero sdoganate le “mascherine di comunità”: strisce di stoffa da portare obbligatoriamente in presenza di altri. Senza alcuna seria capacità filtrante. Senza protocolli di immissione sul mercato, senza specifiche tecniche di produzione. Qualunque cosa davanti a naso e bocca andava bene, evitava la multa, faceva entrare al supermercato. Nessuno ha idea di quanto possano aver contribuito al contagio.
Non sono mai state vietate, nemmeno quando incominciarono ad essere distribuite gratuitamente le mascherine chirurgiche.
Certo, già tanta grazie rispetto alle prime: fatta 100 infatti la quantità di particelle potenzialmente infette da filtrare, queste ultime (se aderenti, indossate bene, sostituite alla bisogna, eccetera) sono in grado di filtrare circa 20. Certo meglio del 5% quanto quelle di comunità.
Anche queste sono una scelta determinata dal mercato: costano pochissimo, con una linea di produzione costantemente semplice, possono essere prodotte e velocemente distribuite in grande quantità, visto il packaging, e non devono seguire un percorso certificante particolarmente tortuoso, anche se, come sempre, tutto viene accelerato alla bisogna.
Il loro acquisto e la loro distribuzione, ha permesso agli stati di tutto il mondo di metterci una pezza, più facili da recuperare, più economiche, danno sicurezza e dimostrano che qualcuno si dà da fare. In effetti sono in grado di evitare (nelle loro condizioni di massima efficacia) che all’esterno possa fuoriuscire aria da bocca o naso di chi le indossi.
Il loro uso viene però giustificato con un paradosso da comma 22: chi le indossa infatti protegge gli altri da sé stessi.
Joseph Heller definisce tale paradosso come riguardante un’apparente possibilità di scelta in una regola, ma dove, in realtà, per motivi logici nascosti o poco evidenti, non è possibile alcuna scelta ma vi è solo un’unica possibilità. Cito: «Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo.»
La scelta nell’utilizzo della mascherina chirurgica non è infatti data dal rischiare di essere contagiati o evitarlo, ma se evitare che altri siano contagiati da sé stessi.
Però costa poco, si trova sul mercato con facilità e tranquillizza chi la indossa. Gli stakeholder sono tranquilli.
Ma se l’obiettivo meritevole è il non contagiare altri, va da sé che il metodo migliore è non essere contagiosi ed a questo la mascherina chirurgica non serve. È pur vero che se tutti utilizzassero tale presidio sanitario (ma proprio tutti e mai quelle mascherine finte di cui sopra) nella corretta modalità d’uso, stando a distanza adeguata, le probabilità di contagio sarebbero fortemente ridotte. Per farlo qualcuno dovrebbe vietare le mascherine di comunità e non pare all’orizzonte nessuno che voglia farlo o che semplicemente voglia suicidarsi politicamente percorrendo questa strada.
Ma fuori dall’Italia qualcosa si muove:
È di ieri la dichiarazione seguente del ministro francese della Salute, Olivier Véran
Le diverse varianti di Coronavirus, come quella inglese, sono più contagiose e resistenti a sistemi di protezione come le mascherine
Il Covid-19 sta mutando in diverse varianti. Le più celebri sono quella inglese e sudafricana. Al momento non è possibile dire se queste varianti siano più letali ma ci sono conferme che siano più resistenti alle cure e soprattutto più contagiose. Anche in Italia si sono registrati casi di Sars Cov-2 nella variante britannica durante questa seconda ondata e stando all’allarme lanciato dal ministro francese della Salute, Olivier Véran, alcuni modelli di mascherine sono inefficaci contro di essa.
Véran in un’intervista alla radio France Inter ha affermato che uno dei motivi per cui si è registrata una crescita esponenziale di contagi negli ultimi mesi, soprattutto in Paesi come la Germania, è dovuto al fatto che le varianti di Covid-19 sono più contagiose e in grado di superare la schermatura offerta da dispositivi di protezione individuale come le mascherine.
Il ministro francese ha quindi consigliato di dotarsi di mascherine che garantiscano un filtraggio superiore al 90%. Alcuni modelli, come quelle artigianali in stoffa, hanno un livello di protezione dalle particelle droplet troppo basso, non proteggono quindi dalle goccioline di saliva che sono il primo veicolo di contagio da Covid-19.
“Le uniche mascherine che raccomandiamo di fronte alle varianti del virus sono quelle chirurgiche e le FFP2. – ha spiegato Véran – Qui in Francia la situazione dei contagi relativi alle nuove varianti del virus è decisamente migliore rispetto a quella dei nostri vicini europei, ma abbiamo ancora un tasso di contagio troppo alto per allentare le restrizioni. Il coprifuoco alle 18 resta in vigore su tutto il territorio nazionale e non è escluso il rischio di dover imporre il terzo lockdown dall’inizio dell’emergenza”.
Covid, Parigi e Berlino: la mascherina di stoffa non protegge dalle varianti
Tra le misure appena prese nei due Paesi, l’obbligo di dispositivi di protezione medici, chirurgici o tipo KN95-FFP2, sui mezzi pubblici, nei negozi e nei supermercati. E la Francia raddoppia il distanziamento
Le mascherine di stoffa non garantiscono protezione contro le varianti del Covid attualmente note. Ne sono convinte le autorità sanitarie in Francia e in Germania, che hanno consigliato alla popolazione di indossare unicamente le mascherine chirurgiche. Le varianti finora note, infatti, quelle individuate in Gran Bretanta, in Sud Africa e in Brasile, risultano altamente contagiose, più del virus originario.
La Francia raddoppia il distanziamento: da uno a due metri – Il parere degli esperti, presentato ai ministri ma non pubblicato, ha anche suggerito alla Francia di raddoppiare il criterio del regime di distanziamento sociale, portandolo da uno a due metri. L’Haut Conseil de Santé publique (Alto Consiglio per la sanità pubblica) ha infatti dichiarato che molte mascherine di stoffa, spesso preferite perché lavabili e riutilizzabili, non garantiscono la protezione contro le nuove varianti.
“Non stiamo mettendo in dubbio l’utilità delle mascherine usate finora – hanno spiegato le autorità sanitarie -, ma poiché non abbiamo nuove armi contro i nuovi ceppi l’unica cosa che possiamo fare è migliorare le armi che abbiamo già”.
Germania: stop alle mascherine di stoffa – Anche la Germania, annunciando una proroga del lockdown fino al 14 febbraio, ha vietato l’uso di mascherine di stoffa. Un accordo in merito è stato raggiunto durante un incontro virtuale tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e i governatori dei 16 Laender tedeschi riuniti per discutere l’inasprimento delle misure anti-Covid.
Tra queste, figura proprio l’uso obbligatorio di una mascherina protettiva medica (chirurgica o tipo KN95 o FFP2) sui mezzi pubblici, nei negozi e nei supermercati. Una misura che ha seguito l’esempio della Baviera, Land che ha imposto l’uso della FFP2 da questa settimana. Altre mascherine, comprese quelle in stoffa, in futuro non saranno più ammesse su bus, metrò o nei negozi proprio per contrastare le più contagiose varianti del Covid.
Ma le contraddizioni a proposito dell’uso di queste protezioni non finiscono qui. Se andiamo ad affrontare quanto previsto dalle nostre regole non già per i cittadini italiani in senso lato, ma per i “lavoratori”, vi sono indicazioni diverse e, spesso, malamente interpretate. (naturalmente sempre in buona fede).
La posizione degli Organi di vigilanza, in merito alla tipologia di mascherine da utilizzare, è la seguente: sono fatti vostri. Se la vostra azienda valuta che sia adeguata una mascherina chirurgica, chi siamo noi per dire il contrario? Chiedete al vostro Medico Competente, al vostro Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione Aziendale o al vostro Datore di Lavoro, se a loro va bene, va bene anche a noi.
Ad esempio: se la valutazione prevede che tutto il personale di bordo dei treni usi la mascherina chirurgica allora va bene, basta che la indossi; se tutti dipendenti di un supermercato usano la mascherina chirurgica ci riteniamo soddisfatti. Ma se gli utenti od i passeggeri di quel treno o autobus, o i 1000 clienti che passano davanti alla cassiera indossano una mascherina di comunità, come è possibile che gli Organi di Vigilanza se ne stiano? Realmente si pensa che in tali occasioni siano rispettate le distanze di sicurezza atte ad evitare il contagio? Dovrebbero forse provare a fare la spesa o a prendere un autobus.
Peccato perché nell’interesse generale, tutte le autorità competenti dovrebbero essere obbligate “ad adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali interessi sugli interessi economici”. Ma non è chiaro chi debba in effetti occuparsene, anche se è noto che con la Comunicazione della Commissione europea del 2 febbraio 2002 (Com/2000/01) e con la l. 11 febbraio 2005, n. 15 il principio di precauzione è stato incluso, a pieno titolo, tra i principi generali dell’azione amministrativa nell’ordinamento europeo.
Rimangono quindi alcuni punti da affrontare in zone grigie: le raccomandazioni che da tutto il modo centri di ricerca stanno facendo per allargare la distanza sociale di sicurezza ad almeno due metri e non solo uno per prevedere l’uso di mascherine vere FFP2 o equivalenti. Andando in tale direzione ciò inevitabilmente andrebbe ad incidere sulla organizzazione del lavoro, quindi con conseguenti inevitabili costi che le imprese dovrebbero affrontare, va da sé che ciò sia altamente improbabile, nonostante una relativamente recente circolare di Confindustria che consigliava ai propri iscritti di seguire tali percorsi, quindi per capirci due metri e non un metro entro i quali usare un vero DPI e non una chirurgica.
Gli stati, anche l’Italia, dovrebbero mettere al bando le mascherine finte, pur se inimicandosi tutti coloro che si siano messi a produrle o a distribuirle ed utilizzando mezzi coercitivi per impedirne l’uso.
Per il principio della massima precauzione possibile dovrebbe poi, come in Germania la Baviera, pretendere che sui mezzi di trasporto e negli ambiti di analogo rischio, compresi quelli specificatamente lavorativi, siano utilizzate solo FFP2 o similari, occupandosi di reperirle sul mercato così come svolge tale ruolo per gli ambienti sanitari.
E per i vaccini speriamo bene.
Aris Capra
Responsabile Ufficio Sicurezza sul Lavoro Cgil Genova