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Questa mattina siamo qui in tanti a ricordare un nostro e caro stimato compagno.

Oggi ricorre il secondo anniversario della scomparsa di Nino Roda’.

Non abbiamo potuto salutarlo, al momento della sua dipartita, a causa delle restrizioni imposte dall’emergenza Covid.

E per questo è rimasto in noi un grande dispiacere.

Ma c’eravamo impegnati con le figlie Stella e Pinuccia ad organizzare, appena possibile, una cerimonia qui nella sua casa, la Cgil, per onorarne la memoria assieme a tante e tanti compagni che lo hanno conosciuto, stimato e voluto bene.

Io personalmente sono onorato e anche emozionato di parlarvi di Nino perchè l’ho sempre considerato uno dei miei maestri di sindacato quanto da giovanissimo, nei primi anni 70, sono entrato a far parte del direttivo della Fillea di Genova.

Mi ha colpito subito la sua figura di militante sindacale, sempre presente nella discussione che con serietà e rigore metteva in evidenza con un linguaggio asciutto e concreto i problemi degli edili all’interno dei cantieri e spronava l’organizzazione a lottare per i diritti dei lavoratori, per ottenere condizioni di lavoro più dignitose.

Nino era un vero leader nella categoria, riconosciuto come tale dai lavoratori che lo hanno sempre rispettato, apprezzato e amato.

Era riconosciuto ed apprezzato e anche temuto dalle imprese che vedevano in lui non soltanto il sindacalista rappresentativo, la cui parola contava tanto, ma anche il maestro carpentiere, l’operaio specializzato provetto che risolveva tanti problemi legati alla produzione dei cantieri.

Nino aveva imparato sin da ragazzo da che parte stare, le ostilità e la durezza della vita lo hanno fatto maturare in fretta e fatto diventare un uomo con la schiena dritta sempre pronto a lottare al fianco dei compagni di lavoro per i diritti, per un lavoro dignitoso.

Nato nel 1932 a Melito Porto Salvo in provincia di Reggio Calabria, da una famiglia contadina, ha potuto studiare fino a conseguire la licenza elementare, ha lavorato giovanissimo nei campi, ma a quei tempi in quelle terre depresse, non c’erano molte prospettive per costruirsi un futuro.

Decise di andare a cercare il lavoro all’estero, in Francia, dove già era emigrato un suo fratello maggiore. Non possedeva il passaporto perché era sotto leva, aspettava la chiamata militare, e a quei tempi in Francia vigeva una sorta di numero chiuso per gli emigrati e per lavorare c’era bisogno di un permesso speciale.

Così decise di emigrare clandestinamente, trovò una guida che dietro compenso di 10 mila lire, che allora valevano quanto uno stipendio di quei tempi, lo portò , dopo tante traversie, attraverso le montagne, da La Thuile in Valle d’Aosta fino a Borgo San Maurizio. Da qui stanco , affamato e stremato, arrivò poi a Montpellier dal fratello.

Trovò lavoro nei campi in un vigneto e poi un giorno lo fermarono i gendarmi che gli chiesero i “papiers” che lui non possedeva. Gli presero le impronte digitali e scontò 20 giorni di cella in isolamento e poi un’altra settimana in una cella normale, colpevole di aver passato la frontiera come un contrabbandiere.

Questa esperienza lo aveva segnato e aveva contribuito a forgiare il suo carattere battagliero, generoso, sempre dalla parte dei lavoratori e dei più deboli.

Quando a partire dalla fine degli anni 80 nei cantieri edili del Comune di Genova si cominciavano a vedere i primi lavoratori extra comunitari, per lo più di origine marocchina, lui si arrabbiava nel vederli maltrattati, pagati in nero, sfruttati senza documenti e libretto di lavoro.

Quanto si parlava di questo argomento qualche volta esclamava: “non vedo nessuna differenza tra la mia esperienza allora in Francia e quella di un extra comunitario oggi a Genova”.

Nino già in quegli anni prese molto a cuore il problema dell’emigrazione. Capì che il fenomeno si sarebbe allargato e nelle assemblee con i lavoratori teneva sempre diritta la barra parlava di integrazione, di rispetto, di solidarietà verso chi fugge dalla guerra, dalle carestie, dalla povertà.

Dopo la brutta esperienza in Francia, Nino arriva a Genova ospitato dallo zio, lavora come manovale, qualche mese, in nero, poi arriva il servizio militare e dopo aver adempiuto agli obblighi della leva sceglie definitivamente di fermarsi in questa città.

Siamo alla metà degli anni 50, Nino ritorna a lavorare nei cantieri edili, sono anni difficili, le condizioni di lavoro nei cantieri erano pessime, si guadagnava poco e qualche volta raccontava che riusciva a mangiare grazie ad una trattoria di Certosa che gli faceva credito.

Nel 1956 giovanissimo si sposa e dopo poco tempo va a lavorare alla SIAC, ma anche lì lo stipendio di un operaio generico non era un granché.

Chiese di essere spostato in un reparto dove si potesse guadagnare di più e gli prospettarono i forni Martin all’Oscar Sinigallia di Cornigliano.

Decise così di lasciare la fabbrica, ma a parte la questione salariale, mi ha più volte confessato che soffriva per gli spazi chiusi dello stabilimento siderurgico, gli piaceva stare all’aperto perché si sentiva più libero e forse aveva soprattutto nostalgia dei suoi edili.

L’esperienza della fabbrica, in anni difficili dove era vietato entrare con l’Unità , portare volantini ed era difficile scioperare, anche se breve, contribuì a consolidare la sua coscienza sindacale, incontrò molti compagni ex partigiani che avevano combattuto nella resistenza, e che avevano difeso le fabbriche dai fascisti e dai tedeschi e dai quali aveva imparato un sacco di cose.

Gli anni 50 e 60 hanno rappresentato tempi difficilissimi per gli edili, poche regole e diritti , tanto lavoro nero, orari lunghi tanto cottimo , evasione contributiva e tanti morti sul lavoro e invece molta speculazione e profitti per le imprese. In questa giungla Nino impara il mestiere e impara a fare il sindacalista incomincia a “metterci la faccia” a battersi per i diritti e l’emancipazione della categoria.

Fu uno dei protagonisti degli scioperi per ottenere la Cassa Edile, un prezioso e insostituibile, ancora oggi ente contrattuale che ha permesso di tenere uniti i lavoratori, di far godere loro importanti istituti contrattuali come le ferie, la gratifica natalizia, l’anzianità professionale edile, nonché di importanti prestazioni mutualistiche, insomma, una delle conquiste più significative della categoria; la Cassa Edile entra in funzione nel 1958 e possiamo oggi affermare che è stata grande l’intuizione di compagni come Nino che hanno creduto sino in fondo in questa istituzione.

Nel 1965 si iscrive alla Fillea. Era già molto conosciuto in categoria per le battaglie che conduceva , per migliorare gli ambienti di lavoro. Non ha mai sopportato per nessuna ragione che i lavoratori dovessero lavorare in condizioni per niente dignitose e per questo rivendicava sempre e ovunque servizi , spogliatoi adeguati, acqua pulita per lavarsi e una mensa per poter consumare un pasto caldo.

Storica è la sua battaglia nel cantiere per la costruzione del quartiere SIP del Lagaccio condotta dall’impresa CIVIDIN di Trieste, è li che in un certo senso corona un suo sogno: per la prima volta nella storia degli edili a Genova, in un cantiere cittadino, si ottiene la mensa interna con tanto di cucina, cuochi e sala attrezzata con sedie e tavolini. E Nino ogni tanto raccontava: “che soddisfazione vedere gli operai edili mangiare a tavola come tutti i cristiani , con piatti e bicchieri”. In quel cantiere sparirono infatti i gamellini e i bidoni per fare il fuoco e scaldare le pasteasciutte.

La cosa importante fu che quelle conquiste anche se parziali, non rimasero isolate, grazie a quell’esempio che trovò risonanza nella categoria, nei successivi rinnovi del contratto collettivo integrativo provinciale , l’istituto della mensa, del diritto alla mensa, diventa una conquista collettiva.

Nino lavora in vari cantieri importanti della città, il CIGE di begato, la costruzione del complesso di San Benigno ed è qui che subì un grave infortunio, si frantumò un calcagno a seguito di una caduta dall’altezza di 4 metri. Dopo essersi ristabilito , anche se non completamente, lo chiamai, allora ero segretario generale della Fillea e gli chiesi di fare il funzionario a tempo pieno . Lui accettò ma a patto che potesse ritornare nei cantieri a fare il sindacalista che per lui voleva dire continuare ad interessarsi ai problemi dei lavoratori, intervenire nei confronti delle imprese. Per lui fare sindacato era la cosa a cui teneva di più, in cui credeva fermamente e gli anni duri che aveva vissuto gli avevano dato la certezza che il sindacato è importante per i lavoratori soprattutto per una categoria come gli edili.

E devo dire che come sindacalista a tempo pieno fece un lavoro straordinario; partiva tutti giorni al mattino presto e solo alla sera ritornava in ufficio, metteva a posto un sacco di problemi ; mancati versamenti e iscrizioni alla cassa edile, mancati pagamenti di retribuzione, pulizia di sacche di lavoro nero e anche di forme di caporalato, organizzava assemblee. Preparava gli scioperi ; memorabili furono le lotte nel cantiere dell’Expo che ci diedero un buon potere contrattuale per rinnovare il contratto provinciale in cui si ottenne il pagamento in tempo reale dell’indennità infortunio, oltre ad ottenere discrete incrementi salariali.

Nino aveva una grande qualità, quella che oggi scarseggia nella nostra organizzazione, era un grande tesseratore questo completava il suo essere sindacalista .

Aveva una capacità formidabile di entrare subito in empatia con i lavoratori, trovava sempre argomenti per comunicare positivamente con loro.

I lavoratori lo percepivano veramente come uno di loro.

Tutte le sere arrivava con la sua borsa dentro la quale c’era di tutto: volantini, deleghe per le iscrizioni , documenti vari, copie dei contratti di lavoro e poi l’apriva e tirava fuori le nuove iscrizioni alla Fillea.

Tessere ne ha fatte tantissime e quando la giornata andava particolarmente bene si leggeva la sua soddisfazione che manifestava con un leggero sorriso .

Tesserare le persone per Nino non significava solo fare numerI, pur importantI per un sindacato come la Cgil che ha sempre vissuto e vive del contributo dei suoi tesserati . Il tesseramento per lui era un valore, anzi un valore primario voleva dire includere i lavoratori nella grande comunità   della Cgil, costruire un’ appartenenza, favorire la partecipazione dei lavoratori alla vita sindacale e politica e quindi favorire la crescita della democrazia.

Nei cantieri che riusciva a sindacalizzare, e sono stati tanti, poi ci portava la segreteria a fare le assemblee, e poi continuava a ritornarci instancabilmente per informarli, per assisterli anche nei bisogni individuali.

Lo faceva con una sua programmazione, un suo metodo, arrivava negli spogliatoi al mattino presto, prima che arrivassero gli operai, durante le pause pranzo, a fine turno, e molte volte, nel caso dei trasfertisti, andava la sera a trovarli negli alberghi o negli alloggi di cantiere e nelle trattorie dove mangiavano.

Nino amava parlare soprattutto con i giovani edili a cui raccomandava come prima cosa di rivendicare sempre che tutte le ore lavorate venissero conteggiate in busta paga per poi avere una pensione dignitosa, di imparare il mestiere e la professionalità li avrebbe resi più forti all’interno dei cantieri nei confronti del padrone, impegnarsi nel sindacato per difendere i diritti e conquistarne dei nuovi , di interessarsi di politica perché i lavoratori devono capire da che parte stare .

E devo dire che contribuì nel tempo a inserire una schiera di giovani delegati attivisti nella Fillea.

Vi voglio raccontare un piccolo aneddoto che testimonia quanto egli era attaccato alla nostra organizzazione e ai lavoratori.

In Fillea avevamo messo a punto un sistema informativo utilizzando le comunicazioni che ci davano le stazioni appaltanti e le stesse imprese che si aggiudicavano i lavori.

La “Cassa Edile”, a quei tempi, in via informale, ci segnalava i lavoratori non iscritti al Sindacato. Sulla base di questi dati io gli preparavo ogni sera un elenco di cantieri nuovi con i nominativi dei lavoratori da tesserare .

Nino trovava sempre i cantieri segnalati anche nei luoghi più sperduti e anche i lavoratori da tesserare, ma c’era una impresa di trasfertisti che seguiva lavori di palificazione che non riusciva ad individuare.

Si trattava di una ventina di lavoratori che tra l’altro non avevano ritirato l’assegno di gratifica natalizia ed i buoni vestiario presso la Cassa Edile. Trovare quei lavoratori era diventato un suo assillo.

Una sera, come tutte le altre, lo aspettavo nella sede di Via Raggio, dove lui di solito arrivava intorno alle 18.30/19. Ma quel giorno si erano fatte quasi le 20.30 e cominciavo a preoccuparmi perché non era mai successo che arrivasse così in ritardo. Non esistevano i cellulari e ad un tratto squillò il telefono ed io gli chiesi subito se gli era successo qualcosa, se stava bene.

Con tutta tranquillità mi rispose che si trovava a Mentone, in Francia, perché aveva incontrato in un cantiere di Genova uno di quei lavoratori che gli aveva indicato finalmente dove si trovavano gli altri per cui senza pensarci due volte era partito e aveva individuato la trattoria dove stavano cenando, mi aggiunse che li aveva già tesserati tutti e che si stava mettendo d’accordo con loro per portargli gli assegni e il vestiario.

Nino aveva anche un altro grande amore, il PCI a cui aderì qualche anno prima dell’iscrizione alla Fillea, è stato un grande militante di quel partito, molto attivo nelle sue sezione a Sampierdarena, prima alla Avio poi la Jursè Buranello, sempre presente nella discussione, anche in quelle che si facevano in federazione, perché gli piaceva ascoltare, imparare discutere, crescere politicamente per far meglio il suo lavoro di sindacalista.

E’ stato un grande diffusore dell’Unità , ha utilizzato per lunghi anni le sue ferie per allestire feste dell’Unità organizzando la squadra dei carpentieri che costruiva le impalcature e montava gli stand. Nella campagna elettorale per le politiche del 1979 il partito aveva deciso di rafforzare la propria presenza al sud inviando in Calabria compagni di origine calabrese che si erano stabiliti nel nord Italia.

Gli fu chiesto di andare, lui si prese l’aspettativa e partì per dare il suo contributo.

Come tanti di noi soffrì lo scioglimento del PCI, visse proprio male e per lungo tempo quell’evento, e mano mano che il tempo passava aumentava però la sua amarezza verso la nuova politica e verso una sinistra che continuava a dividersi.

Si capiva dalle sue parole e dai suoi mugugni che gli mancava tanto il partito di massa, il partito che lo rendeva orgoglioso di appartenere ad una grande comunità che come lui credeva nei valori e ideali di progresso, il partito radicato tra i lavoratori che difendeva e dava voce alle ragioni del lavoro, radicato nel territorio, nelle periferie, capace di coglierne le problematiche, di ascoltare e farsi ascoltare dalle persone.

Ma non si fermò alla nostalgia, continuò la sua militanza in una sinistra che non abbandonò mai, ne’ venne meno in lui la voglia di partecipazione, di lottare, di impegnarsi.

E’ stato molto anche legato all’ANPI, sempre presente nelle ricorrenze del 25 aprile con il suo fazzoletto rosso al collo e in tutte le manifestazioni a difesa della Costituzione e dei valori della Resistenza.

Ed è giusto ricordare, in questi tragici momenti, che fu sempre in prima linea in tutte le occasioni in cui si manifestava per la pace

Nino manca alla sua famiglia e manca a tutti noi, purtroppo sono tanti i compagni e le compagne che ci hanno lasciato in questi ultimi anni.

Si perde una generazione che, con grandi sacrifici e abnegazione, ha fatto grande la Cgil, ha lottato sempre in prima fila per consolidare la democrazia nel nostro Paese e si è spesa sino in fondo per l’emancipazione dei lavoratori e delle lavoratrici.

Quando si perdono compagni come Nino si avverte un senso di vuoto, il nostro tessuto democratico si indebolisce .

Per riparare questo tessuto, per tenerlo integro, e magari rafforzarlo, dobbiamo guardare al suo esempio, raccogliere e raccontare i suoi insegnamenti, e continuare ad impegnarsi con sempre maggiore impegno e passione.

Solo così possiamo onorare veramente la sua memoria, per ringraziarlo per quanto ha fatto per la nostra organizzazione, per i lavoratori, per la democrazia e per tutti noi.

Care Pinuccia e Stella, dovete essere veramente orgogliose del vostro papà così come lo siamo noi nel poter affermare: “è stato un grande compagno, un grande uomo e apparterrà per sempre alla Cgil, alla sua storia”.

E per sempre sarà uno di noi.

Antonio Perziano Segretario Generale Spi Cgil Genova